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I possibili effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità forestale


            ranno specie di FC, come Mercurialis o Cyclamen (colonizzatrici). Quindi
            avremo convivenza delle specie AF e FC, ed aumenterà il numero delle     FOCUS
            specie presenti. Da questo, si può concludere che aumenta la biodiver-
            sità? La domanda è importante, perché in caso affermativo si dovrebbe
            concludere che il cambio climatico ha un effetto positivo sulla biodi-
            versità del bosco. La realtà è ben differente: nella gap non si insediano
            le specie caratteristiche (spesso a selezione K, in versione fito-) ma
            quelle con maggiore capacità di espansione. Inoltre, nella lettiera si ac-
            cumulano i resti delle piante morte (e le frasche scartate, nel caso di in-
            terventi selvicolturali), che aumentano il tenore di materia organica nel
            suolo. Per questi motivi, vengono selezionate specie con semi traspor-
            tati dal vento o dagli animali, e adattate ad ambienti eutrofici:
            Adenostyles, Epilobium, Senecio gr. nemorensis, Mulgedium, Urtica. Siamo pro-
            prio sicuri che l’arrivo di queste specie possa esser considerato un au-
            mento della biodiversità, cioè un fatto positivo?
               La seconda conclusione interlocutoria è che considerare il numero
            delle specie censite come una misura della biodiversità è di nuovo una
            drastica semplificazione, che annulla le relazioni ecosistemiche e le li-
            nearizza su un solo fattore, per di più irrilevante.


               2.a. Prendiamo ora in considerazione la biodiversità. Essa è stata
            proposta come raffinato concetto scientifico da McArthur, Odum,
            Margalef (e tale era anche nella prima menzione ad opera di Federico
            Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, all’inizio del sec. XVII). Tale
            è rimasta la situazione fino alla fine degli anni ’80: gli studiosi che si oc-
            cupavano di biodiversità erano una sparuta minoranza, senza alcun pe-
            so, e nella comunità scientifica erano considerati degli individui che
            avevano trovato il modo di coltivare il proprio hobby di naturalista a
            spese della pubblica amministrazione. Soltanto nel 1992 (Conferenza di
            Rio), la biodiversità viene riconosciuta come uno dei tre indicatori fon-
            damentali della crisi globale (assieme all’aumento della CO 2 ed al decli-
            no delle foreste tropicali). Da quel momento tutti parlano di biodiversi-   8
            tà, spesso a vanvera.                                                       n.
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               Possiamo partire da una definizione profonda ed accurata come            III
            quella recente della Royal Society (2005) che pone l’accento su due fat-
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