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Da un’invenzione linguistica l’utile approfondimento per fare attenzione al nostro cibo


               ra superficiale. Ma come tutti i processi naturali, interagisce con l’azio-
         FOCUS ne dell’uomo. Come scrive Stefano Pescarmona (Slowfood, cit.): «Alcune
               attività dell’uomo, quali l’agricoltura e l’allevamento intensivi, la defore-
               stazione e l’impiego di sistemi di irrigazione inefficienti o inadeguati,
               accelerano e intensificano il processo erosivo. Quello che la natura im-
               piega 500 anni a formare, ovvero un centimetro di suolo, allo stato at-
               tuale di molti territori, un solo temporale è in grado di dilavare».
                  John Jeavons, fondatore e presidente dell’ong statunitense
               “Ecology Action”, intervenendo al Laboratorio di Terra Madre ha
               detto che il modo in cui trattiamo il suolo corrisponde al modo in cui
               trattiamo noi stessi, la vita in generale, alla cura con cui guardiamo alle
               generazioni future. Se continuiamo a trattare il suolo come abbiamo
               fatto finora, ci restano una settantina d’anni di agricoltura possibile.
               Nel 1977 il 44% del suolo del pianeta era desertico, oggi siamo arrivati
               al 65%. Bisogna riportare in vita il suolo delle nostre zone, delle nostre
               comunità, con la stessa logica con cui ci impegniamo a rivitalizzarne i
               mercati e le produzioni. Il punto di partenza del metodo messo a pun-
               to da Jeavons per la rivitalizzazione dei suoli è l’uso del compost e dei
               sovesci che permettono lo sfruttamento dell’apparato radicale delle
               piante come strumenti di “aratura naturale” del terreno. Le radici di
               una carota possono arrivare a 2,5 metri di profondità, quelle dell’alfa
               alfa anche a 40 metri: «Facciamo lavorare loro - dice Jeavons - diamo
               loro lo spazio di cui hanno bisogno per le loro radici e avremo prodot-
               ti più buoni che in più migliorano il terreno». Quella che lui chiama
               “agricoltura biointensiva” ha bisogno di meno terreno, ma si compor-
               ta secondo i meccanismi della natura: «Avete mai visto delle piante
               crescere naturalmente tutte in fila e tutte dello stesso tipo? Questo è
               uno spreco di terreno. Se si fanno lavorare le piante in associazione
               con il terreno e con il compost, si ottiene molto da piccole superfici.
               Un buon suolo ha bisogno da un 4 a un 6% di materia organica nei cli-
               mi temperati e di un 3% nei climi tropicali. Tuttavia, i suoli mondiali
               hanno soltanto una presenza media dell’1,5% di materia organica. In
               queste condizioni i microbi non si risvegliano nel suolo, restano pigri.
               La maggior parte delle pratiche sostenibili di cui si legge, aumentano la
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               materia organica nel suolo fino al 2%, ma non è sufficiente. Bisogna
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