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Alla ricerca delle radici mitologiche del Circeo


                  Ulisse dopo aver vissuto l’avventura dei Lestrigoni, approda, sola-
               mente con una nave, nella parte occidentale del promontorio del Circeo,
               cioè nella rada di Torre Paola; qui infatti, «un veliero può essere lasciato
               all’ancora, guardato a vista e facilmente raggiungibile in caso di perico-
               lo». Per il Berard la nave penetra direttamente nel lago di Paola.
               Quest’ultima ipotesi presuppone evidentemente che ai tempi di Omero
               la baia di Paola comunicasse con il mare, il che è possibile. Strabone di-
               ce: «Il monte Circeo forma un’isola per il mare e le paludi», Lanzuisi af-
               ferma che al tempo di Omero con tutta probabilità «il Circeo doveva es-
               sere un’isola in tutto o in parte, a seconda le stagioni».
                  Ulisse con i suoi compagni si riposa per due giorni e per due notti
               sulla spiaggia e qui già ha il sentore di essersi imbattuto in un luogo in-
               cantato, dove ha perso il senso dell’orientamento:

                     Amici, qui non si sa da che parte sia l’alba e il tramonto
                     né da che parte il sole fulgente discenda sotterra,
                     né da che parte sorga…


               ma il terzo giorno, di buon mattino, si avvia all’esplorazione del luogo.
                  Se facciamo approdare Ulisse nella baia di Torre Paola è chiaro che
               l’unica direzione che egli può prendere è quella verso oriente. Egli può
               costeggiare la base settentrionale del promontorio - tra il lago di Paola
               e il monte - fin verso la località “Oliveto”, poi deve piegare verso sud
               per raggiungere, inerpicandosi, la vetta più alta del promontorio - il
               Monte Circeo - da dove si può avere la visione dell’isola in tutta la sua
               estensione.
                  Dall’alto si mostra ad Ulisse una terra dalle “ampie strade”. Non po-
               tendo trattarsi per ovvi motivi dell’Agro Pontino bonificato, Berard ar-
               riva a parlare dell’asfodelo fiorito che avrebbe dovuto costeggiare le an-
               tiche vie di comunicazione.
                  Lanzuisi considera questa interpretazione un po’ azzardata: «in una
               selva fitta e sterminata, come doveva essere quella che ricopriva il terri-
               torio delle Paludi Pontine, difficilmente si sarebbero potute scorgere
               strade, coperte dalla altissima vegetazione arborea. Figuriamoci quelle
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               segnate dall’asfodelo!» e conclude che l’espressione di Omero è da in-
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