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L’arte del piano


               ad averla recepita nel Testo Unico che il ministero dell’Ambiente ha

         FOCUS  fatto recentemente approvare come procedura di sperimentazione per
               la valutazione delle qualità e delle caratteristiche ambientali, ma finaliz-
               zate anche alla selezione delle politiche, dei programmi e dei progetti
               utili allo sviluppo competitivo di un territorio».


               Vorrei lanciarle un’altra provocazione: nel momento in cui biso-
               gna ragionare in termini di pianificazione, occorre trovare un
               punto di equilibrio tra le esigenze politiche e il disegno strategico
               messo in campo dai tecnici. Possiamo parlare di un conflitto di
               culture e di interessi? Se sì, dove possiamo trovare un eventuale
               punto di equilibrio?
                  «C’è sicuramente un problema culturale, un conflitto di culture, co-
               me lo ha definito lei in una bella espressione, che però va spiegato nel
               senso che tutti i Piani - anche quelli che io chiamo di quarta generazio-
               ne (quindi “competitivi” in senso di utilità, secondo le linee dei più
               grandi processi di rilancio e di integrazione europea) - devono essere
               considerati Piani strategici. L’equivoco culturale sta proprio in questo:
               la mancanza di conoscenza della condizione della pianificazione che in
               questo momento non è appannaggio della cultura tradizionale che
               sempre ha gestito i modelli di organizzazione del Piano, della pianifica-
               zione, degli atti predittivi, ma che si sta qualificando come nuova forza,
               nuova politica di governo del territorio. Questo conflitto, prima di tut-
               to, è dovuto ad un problema generazionale, nel senso che il Piano è
               sempre stato lo strumento con cui la politica esprimeva il peggio di sé:
               nel Piano si fanno contrattazione e compensazione. Ad esempio nei
               Piani strategici tradizionali esistono solo tre grandi aree di intervento:
               le infrastrutture, gli insediamenti residenziali e delle attività produttive,
               l’ambiente è visto come qualcosa di altro dal Piano e dallo sviluppo:
               una sorta di vincolo inattivo e inamovibile.
                  Le nuove frontiere della pianificazione, invece, fanno, per esempio,
               dei vincoli ambientali (penso ai parchi), occasioni di sviluppo attivo
               del territorio, certo con condizioni e valori completamente diversi, an-
               che in termini di rendita. Proprio questo cambiamento fa perdere, ap-
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               parentemente, alla politica il suo ruolo tradizionale, il proprio potere
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