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Mario Bellocci
tuto che riguarda la protezione della fauna (art. 5 del d.lgs. 16 marzo
1992, n. 267, che ha modificato l’art. 1 del d.P.R. 22 marzo 1974, n.
279) non solo è successiva alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, ma si
colloca in una posizione peculiare nel sistema delle fonti, al di sopra
delle leggi ordinarie. Essa demanda alla legislazione provinciale la
determinazione dello standard di protezione della fauna in conformità
“ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o
dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale”. Ne
discenderebbe che la legislazione provinciale possa sviluppare uno spe-
cifico sistema venatorio che tenga conto delle peculiarità del territorio
e che dovrebbe riferirsi solo e direttamente (senza ulteriori intermedia-
zioni statali) alla normativa internazionale ed europea. La Corte confu-
ta tale ricostruzione, in considerazione del fatto che l’art. 8 dello statu-
to di autonomia, nell’attribuire alle province la competenza in materia
di caccia (n. 15), si richiama ai limiti indicati dal precedente art. 4, tra i
quali vi è quello del rispetto delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali. La disposizione contenuta nel secondo comma del-
l’art. 1 del d.P.R. n. 279 del 1974, aggiunto dall’art. 5 del d.lgs. 16 marzo
1992, n. 267, deve pertanto essere letta insieme con le norme alla cui
attuazione è preordinata, alle quali non può derogare. In realtà, la
disposizione di attuazione non prevede, come sostiene invece la
Provincia, che la legislazione debba unicamente attenersi alle norme
internazionali ed europee, senza che su di essa possano incidere le
norme statali che diano attuazione al diritto comunitario e che, come
nel caso delle previsioni della legge n. 157 del 1992, siano qualificabili
come norme fondamentali delle riforme economico-sociali.
In ordine alle specifiche censure, la Corte richiama la pregressa giu-
risprudenza che riconosce il carattere di norme fondamentali di rifor-
ma economico-sociale alle disposizioni legislative statali che individua-
no le specie cacciabili (sentenze n. 168 del 1999, n. 323 del 1998, n. 272
del 1996, n. 35 del 1995, n. 577 del 1990, n. 1002 del 1988), di talché,
a fronte dell’esigenza di garantire un nucleo minimo di salvaguardia
della fauna selvatica, va riconosciuta alle Regioni la facoltà di modifica-
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re l’elenco delle specie cacciabili soltanto “nel senso di limitare e non
di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia” (sen-
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