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Protezione dell’habitat

          Negli ultimi decenni un numero crescente di scienziati ha fatto rilevare  che
          è    giunto    il    momento di  concentrare  l’attenzione  su  una  conservazione
          razionale, su scala continentale, degli ecosistemi che sostenga  la  massima
          diversità  biologica  invece  di  combattere una battaglia specie per specie a
          favore  delle  specie  più  rare  e  popolari,  spesso  designate  come  “specie
          bandiera”.
          Peraltro,  oggi  una  specie  bandiera  viene  scelta  per  simboleggiare  un
          problema ambientale, ad esempio un ecosistema con la necessità di essere
          preservato: il panda gigante della Cina è una tipica specie bandiera.
          Concentrando    l’attenzione    su    popolazioni    già    ridotte  ad  un  piccolo
          numero di individui, si spende la maggior parte dei fondi disponibili per la
          conservazione  a  favore  di  specie  che  possono  essere  geneticamente
          condannate qualunque cosa si faccia.
          Mentre  le  specie  bandiera  quali  il  gorilla  di  montagna  e  la  tigre  reale  si
          riproducono bene negli zoo e nei parchi di animali selvatici, gli ecosistemi
          che essi un tempo abitavano sono in gran parte scomparsi.
          Un pioniere di questa nuova forma di conservazione è J. Michael Scott, che
          ha diretto il programma di recupero del condor della California nella metà
          degli  anni  ’80  e  precedentemente  aveva  dedicato  10  anni  alle  specie  in
          pericolo di estinzione sull’Isola Hawaii.
          Nella realizzazione di carte delle specie in pericolo di estinzione, Scott scoprì
          che l’Isola Hawaii, dove più del 50% delle terre è di proprietà federale, ha
          molti tipi di vegetazione completamente fuori dalle riserve naturali.
          Le lacune (gap) tra le aree protette possono contenere un numero di specie
          in  pericolo  di  estinzione  maggiore  di  quello  presente  nelle  aree  protette
          stesse. Questa osservazione ha condotto ad un approccio denominato “gap
          analysis” (analisi delle lacune) in cui i conservazionisti cercano paesaggi non
          protetti, ricchi di specie.
          Grazie ai computer e ai GIS è possibile memorizzare, elaborare, recuperare
          e analizzare grandi quantità di dati utili ai fini della realizzazione di carte ad
          alta risoluzione.




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