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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


            Anche a Roma, sotto il divino epiteto di Viminalis, vanno ricon-
            dotte solamente le varietà del Salice dette riparia (= ripaiolo), alba
            (= bianco), triandra (= da ceste) e purpurea (= rosso): specie usate
            per ogni sorta di legacci inerenti capanne e altri oggetti della vita
            domestica. Nell’antichità quindi sono proprio gli alberi indicati
            da un segno sovrannaturale ad esser oggetto di culto: la stessa
            identificazione di alcuni di questi alberi con le ninfe (Dafne-
            lauro, Aria/Tia/Deione, Driope-Quercia, Leuke-pioppo bianco, Fili-
            ra-tiglio, Pitis-Pino nero, Caria-noce, Fillide-mandorlo, Lotis-loto),
            i rapporti di questi con un Dio e le condizioni delle varie meta-
            morfosi, permettono di evincerne le specifiche caratteristiche.
            Nel Latium vetus ed a Roma in particolare, pur considerando le
            rispettive topografie e contesti, questi alberi isolati e venerati,
            sacrati o “amati”, sono menzionati di frequente, anche se non da
            tutte le fonti letterarie è desumbile con certezza un’usanza cul-
            tuale rigorosa e continuativa nei tempi (32). Sul Campidoglio il
            primo tempio di Giove era stato edificato da Romolo presso una
            quercia da gran tempo venerata dai pastori. Sul Celio, detto
            appunto il monte del bosco di querce (Varro, L.L., 49), vi si ado-
            rava Giove in quanto dio della quercia. Passieno Crispo era poi
            noto per la passione che nutriva per un faggio - per alcuni stu-
            diosi l’elce gigantesca del Tuscolo - cui offriva libagioni di vino
            (Plin.,  N.H. XVI, 44, 242; Virg.,  Egloga I), così come l’oratore
            Ortensio “irrigava” con vino un platano della sua villa di Tusco-
            lo (Macrob., Sat. III, 13, 3): proprio quest’ultimo albero sembra
            sia stato introdotto in Italia a Reggio (Plin. N.H., XII, 6) da Dio-
            nisio il Vecchio (430-360 a.C). Una pianta di loto eccezionale fù
            quella menzionata nel lucus Lucinae a Roma; un bagolaro (Celtis
            australis) - ossia un’ulmacea, l’arber lotus di Dioscoride - era inve-
            ce presente e venerato davanti al tempio di Vulcano (Plin., N.H.
            XVI, 236). Famoso e ben più antico era invece l’arbor capillata o
            capillaris arbor - l’albero di loto appunto cui le Vestali appende-
            vano la chioma recisa - così detto “quoniam Vestalium virginum
            capillus ad eam defertur” (Plin., N.H. XVI, 235), nonchè “capillarem
            arborem dicebant, in qua capillum tonsum suspendebant” (Paul.-
            Fest., 50, 12 L). La lista prosegue con il celebre ilex, l’elce/leccio
            del Vaticano, con iscrizione etrusca in bronzo, la cui nascita era
            creduta antecedente a quella di Roma (Plin., N.H. XVI, 87, 237)


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