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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche
tuti nel 665 d.C. dai cristiani. Sotto il regno di Costante II, nel VII
sec. d.C., viene poi fatto sradicare dal nefasto vescovo Barbato, il
celebre noce di Benevento (Vita Barbati, 1-7). Non sorprende per-
tanto di trovare una recente e doviziosa sistematizzazione di tre
tipi di atteggiamenti dei monolatri paleocristiani, desunti da
fonti letterarie patrologiche ed agiografiche, riconducibili in tre
sezioni – che non siano da intendersi però come fasi cronologi-
che distinte e successive - della ampia e variegata casistica di
aneddoti relativi all’ateismo con cui la “furia” galilea si manife-
stò nei confronti del nostro patrimonio più sacro, ineffabile, cor-
ruscante e numinoso. È appunto l’insigne storico medioevista
Cardini, ispirandosi all’ancor più celebre studioso Le Goff - in
merito alla pluralità di tattiche acculturative adottate dalla Chie-
sa latina - che così ci ragguaglia: A) santi che distruggono alberi
isolati (di solito mediante abbattimento), tra cui Martino di
Tours, Barbato e Bonifacio, cui sono da aggiungere Amando epi-
scopo, Amatore vescovo di Auxerre, Anselmo e Giovanni I,
vescovi; B) santi che distruggono boschi (di solito bruciandoli),
tra cui Giulio, Giuliano e Maurilio, vescovo di Angers; C) santi
che nei boschi, sacri per i pagani, si insediano, tra cui Alveo di
Sens, Amanzio eremita e Ilario. Si tratta quindi per lo più di “due
grandi cicli” inerenti la distruzione-obliterazione e la sostituzio-
ne-prosecuzione con “pronunziato carattere acculturativo”. Lo
stesso papa Gregorio (Dialog., III) così si esprimeva a proposito
del “montis quod Casinus dicitur ([...]) ubi vetustissimum fanum fuit,
in quo ex antiquorum more gentilium ab stulto rusticorum populo
Apollo colebatur ([...]) in cultu daemonum luci succreverat ([...]) infi-
delium insana moltitudo sacrificiis sacrilegis insudabat ([...]) vir Dei
(= il Benedictus di Norcia, n.d.A) contrivit idolum, subvertit aram,
succidit lucos [...]”, rendendoci più eloquente e meno edulcorato
l’approccio “genuino” che questi fautori del deserto di Galilea,
seppero applicare a silvae, nemora e luci greco-italici (26). “Tutti
questi apostoli della fede”, scrive lo studioso Lieutaghi, “si die-
dero da fare a dimostrare ai loro catecumeni e nuovi battezzati,
che le divinità degli alberi non erano altro che demoni [...], si
piantavano delle croci sulle Querce; santi e madonne sostituiva-
no, nelle cavità dei tronchi, le divinità silvane buone e cattive”.
È del resto il profeta Isaia (Is., LVII, 5) che strepita contro i riti
SILVÆ - Anno VI n. 13 - 279