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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


            Pisonis (Cic., ad Quinct. II, 3), e della Deae Satrianae (CIL VI, 114).
            Di almeno 24 di questi boschi, lo Stara-Tedde ne propone una
            ubicazione “esatta” o per lo meno “approssimativa”, ricordan-
            doci inoltre che proprio per i tempi più antichi, accanto ad ogni
            sacello bisogna immaginare un boschetto - da non confondere
            con i semplici giardini che pur non mancavano nell’antica città –
            così istituendo quella relazione luogo di culto-bosco sacro d’i-
            naudita importanza per comprendere bene nelle sue squisite
            radici dendrofaniche il mos maiorum romano-italico.
            Di recente inoltre, sembrano aver avuto un certo incremento tra
            gli epigrafisti le interpretazioni di alcuni testi come vere e pro-
            prie leges lucorum, analogamente alla legislazione sacra delle due
            celebri epigrafi di Spoleto. Questi documenti reinterpretati,
            diversi anche per datazione, sono la lex sacra del Cippo del Foro
            (Palmer), di fine VI sec. (Quoi hon[ce louquom violasit]/ [...]), la lex
            luci Lucerina (Panciera) del 300-250 a.C. (il cui incipit, In hoce lou-
            carid [...], ci suggerisce Loucar/lucar per lucus), la lex della Tabula
            Veliterna (Rix) del 300 a.C. (relativa ad un bosco sacro, non men-
            zionato tuttavia, della Dea Declona/Diana ?), la lex Furfensis del
            58 a.C. e la lex osca della Tabula Bantina. Sono tutti testi, come
            fatto notare, che si illuminano a vicenda proprio sulla natura di
            atti che, se ritenuti leciti in un nemus o in una silva (es. portare via
            frasche, rami secchi, tronchi caduti), non lo sono affatto in un
            lucus (da cui nulla poteva essere portato via), costituendo infatti
            violazione, profanazione ed espiazione con sacrifici che siano
            preventivi, pacificatori (piacula) o a posteriori. Un confronto tra i
            più eloquenti è del resto quello relativo ad uno dei testi degli Atti
            degli Arvali (a. 14 d.C.) inerenti il celebre lucus Deae Diae, san-
            tuario di confine, sulla via Campana: “...[cum arbo]r vetustate in
            luco deae Diae cecidisse, ut / [in luc]o ad sacrificium consumeretur,
            neve quid / [ligni] exportaretur”. Anche questo lucus già esistente
            in età repubblicana (Varro, L.L., V, 22), potrebbe risalire perfino
            ad età romulea (Plin., N.H., XVIII, 6; Gell., VII, 7, 8), sebbene il
            culto della Dea Dia sia attestato dall’età augustea (24). Di fatto,
            per lucus, è dunque possibile intendere uno spazio costituito sia
            da un vero e proprio bosco sia da pochi alberi intorno ad un tem-
            pio: cintato e dotato d’ingresso, presso quest’ultimo o lungo la
            sua delimitazione, si potevano trovare cippi epigrafici plurimi


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