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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


                  mo, che, sebbene continui a designare un bosco sacro, si arric-
                  chisce di un’ulteriore sfumatura semantica che può desumersi,
                  come fatto già notare, da un interessante verso: “est nemus Hae-
                  moniae, praerupta quod undique claudit/ silva. Vocant Tempe”. (Ov.,
                  Met. I, 567). Un boschetto sacro quindi che si distingue per la sua
                  “bellezza” dalla “silva”, la foresta incolta che lo circonda, ci dice
                  lo studioso Grimal. Il lessema quindi, greco νεμος, latino nemus,
                  assurge a rappresentare pur sempre un luogo di culto ma, diver-
                  samente dall’originario lucus, diviene il bosco sacro “umanizza-
                  to” della tradizione letteraria greco-ellenistica in cui, in età impe-
                  riale, l’elemento “sacro” sembra quasi “cedere” rispetto all’ele-
                  mento “estetico” (16). Il Nemus è stato anche ritenuto essere un
                  “pascolo” inframezzato da radure, insieme a boschi compresi
                  nella foresta in cui gli uomini si insediavano e prendevano con-
                  tatto con gli spiriti presenti (Columella, XI, 2, 52; Palladio, 8, I):
                  nemora quindi non solamente come “isole” in mezzo a terre for-
                  temente abitate e coltivate ma anche come occupazioni di larghe
                  distese di territorio. La radice  nem- allude infatti all’idea del
                  tagliare, distribuire, dividere: il verbo greco νεμω significa infat-
                  ti anche isolare, metter in disparte, occupare ed abitare oppure
                  pascolare e coltivare. La tradizione latino-italica avita manifesta,
                  distinguendosi da quella greco-ellenistica, come noto, quel fasci-
                  nans et tremendum quale venerazione trepida, terrifica e profon-
                  da verso alberi e boschi che rispecchia invece da sempre una
                  scarsa preoccupazione per un’eventuale bellezza ed umanizza-
                  zione di quelle dimore degli Dèi cui i greci, diversamente, sep-
                  pur in un determinato periodo, diedero forse l’apporto più ori-
                  ginale e fecondo tra i diversi popoli del Mediterraneo che vene-
                  rarono appunto le profonde forze spirituali della vegetazione
                  (17). Le descrizioni delle specie vegetali presenti nei boschi sacri
                  in Grecia sono infatti eterogenee: sebbene le diverse fonti lette-
                  rarie greche indichino specie selvatiche e coltivate, alberi frutti-
                  feri e odoriferi, la nozione di αλσος, seppur talvolta vicina all’i-
                  dea del giardino fiorito, quasi un frutteto, è spesso associata ad
                  una vegetazione selvatica, priva di frutti, come si desume da
                  molteplici menzioni (Paus., I-II-III-VII-VIII-IX-X;  Argon. Orf.,
                  911-913) relative ai diversi boschi sacri di Demetra e Dionisio
                  (Plin., N.H. XII, 6), di Apollo a Colofone (Paus. VII, 5, 10), dei



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