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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche
>lucus), tanto che all’epoca di Catone, il senso doveva probabil-
mente essere stato meno restrittivo, così da ritenere un lucus
qualsiasi bosco che si aveva ragione di pensare fosse abitato da
divinità, quindi, in pratica, ogni bosco. Avvenne per i boschi per-
tanto la medesima transizione simbolico-spirituale che ci è nota
per le sorgenti, per cui “nullus enim fons non sacer” (Servio, ad
Aen. VII, 84): ossia, non ci sono sorgenti che non siano sacre. Suc-
cessivamente il lucus diviene un bosco sicuramente diverso dagli
altri, poichè ne è stato individuato e sancito il carattere sacro
appunto, in quanto dimora di una o più divinità che vi manife-
stano i loro segni e prodigi, cosa che non avviene invece per altri
boschi: dev’esser quindi un luogo non coltivato (senza necessa-
riamente versare in uno stato selvaggio o di completo abbando-
no), non dev’esser un luogo soggetto a molteplici vincoli e,
soprattutto, non è necessariamente grande; la parte riconosciuta
sacra, poteva infatti essere anche ridotta e già pochi alberi, come
fatto notare, erano sufficienti a dar luogo ad un lucus (13). Una
particolare categoria di alcuni di questi boschi sacri nel territorio
del Latium vetus, come noto, furono inoltre sede di veri e propri
“santuari federali” con funzioni sacrali e politiche, che riguarda-
rono più città e popoli. Si può pertanto convergere sull’ipotesi
che il lucus, per alcuni studiosi, in origine da ritenersi una sem-
plice “radura tra gli alberi”, è stato poi anche un luogo funzio-
nale ai raduni, fenomeno tutt’altro che isolato nel Lazio antico, il
cui aspetto, non solo importante ma fondamentale, era appunto
la consecratio ad una divinità (14). I luci furono così quella parte
delle selve destinate al culto e dove ci si radunava per eseguire
riti religiosi: devono considerarsi quindi come primi templi a
tutti gli effetti, tanto che gli antichi Romani vollero che, successi-
vamente, a ciascun tempio fosse unito un lucus, a perenne
memoria della primitiva sede delle religiose adunanze nei
boschi sacri (15). Non c’è miglior spiegazione letteraria quindi,
sul senso di “presenza divina”, di quella relativa alla descrizio-
ne dell’Aventino nei tempi in cui era appunto ancor una collina
selvaggia, coperta da neri lecci ed allori: «lucus Aventinus suberat
niger ilicis umbra / quo posses viso dicere “Numen inest”» (Ov., F. III,
295-296). Proprio a partire dal I sec. a.C. sembra che il lucus
venisse di preferenza indicato come nemus. Termine, quest’ulti-
SILVÆ - Anno VI n. 13 - 271