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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche
riguardavano solo l’arte dei giardini ornamentali e di svago,
bensì i giardini produttivi, ossia per lo più orti e frutteti, presi
come esempi a proposito della coltivazione di verdure o nella
semina di meloni, quali appunto i Cepurica di Cesennio e quelli
di Sabino Tirone (Plin., N.H. XIX, 177, 113). Per cui, come dimo-
strato, “l’image moderne du bois sacré c’est constituée à partir et
autour des sources latines [...] c’est dans le seul domaine latin
que l’on présent parfois une doctrine plus précise, inspirée par
des définitions qui remontent aux grammairiens romains” (20). I
boschi sacri italici, all’opposto dei boschi sacri alessandrini,
erano appunto “selve terribili”, frequentate ed ancor abitate da
Numina, genii e spiriti di boschi, alberi e acque (fonti, sorgenti,
fiumi), ossia Sìlfidi, Driadi, Amadriadi e Nàiadi: l’elaborazione
ellenistica aveva difatti quasi “razionalizzato” e quindi impove-
rito, quegli elementi religiosi e culturali di eredità indo-europea
e mediterranea che, diversamente, i romano-latini ripresero e
riscoprirono assieme a quei temi dionisiaci che custodivano
quell’immagine tragica della natura e vicina appunto al natura-
lismo delle “origini”. Non si può pertanto non convenire col Gri-
mal in merito al fatto che “il giardino romano è profondamente
pagano persino nelle sue forme mistiche. Ed è questo ciò che lo
rende grande”; così come è difficile dissentire da Capdeville
quando asserisce che “le bois ou le jardin sacré représente la
réduction, dans un monde plus civilisé, plus urbanisé, de la foret
où les populations plus ancienness pratiquaient leurs initia-
tions” (21). Sopravvive quindi nel bosco sacro latino-italico e nel
più piccolo giardino cultuale di età ellenistico-romana, la memo-
ria attiva del più remoto istituto iniziatico della silua primordia-
le appunto, forse di ascendenza paleolitica. La stessa toponoma-
stica archeologica si è di recente rivelata fondamentale nel risali-
re ad antiche stratificazioni semantiche che appunto celano la
più che probabile memoria di un lucus in diversi nomi di loca-
lità tuttora esistenti: da ricordare Monteluco (Spoleto) e Piedilu-
co (Rieti), Luco dei Marsi (Avezzano) in vece di Lucus e/o Nemus
Angitiae (Verg., Aen. VII, 759) presso il Fucino, Lugo di Romagna,
Luc-en-Diois in vece di Lucus Augusti Vocontiorum (Gallia Nar-
bonese), s. Maria de Lugo in vece di Lucus Asturum (Asturia set-
tentrionale), Lugo in vece di Lucus Augusti (Galizia), come non
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