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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche
evince da un celebre passo: “In his (scilicet = lucis) silentia ipsa
adoramus” (Plin., N.H. XII, 2, 3). Alcune fonti (Cic., De Leg. II, 8,
19; Lucano, Phars. III, 399; Verg., Aen. VIII, 347) difatti, asserisco-
no che le Divinità che giardini rustici e boschi sacri ospitano,
sono tra le più antiche che il contadino romano riconosca. Anche
quando i boschi sacri saranno dedicati a un Dio o a una Dèa –
“sive deo sive deae cuius tutela hic lucus locusve est” (act. Arv., ad
ann. 183) - il Nume del bosco non sarà mai confuso con queste
divinità sconosciute, senza nome, simili ma non identiche a
quelle dei boschi vicini (es. Silvano, Feronia, Dea Dia, Deferunda,
Comolenda, Coinquenda, Adolenda). Un’esaustiva disamina di
fonti archeologiche e letterarie ha difatti verificato da tempo che
“il culto dei boschi sacri sopravvive con una forza e purezza che
ci meravigliano”, sebbene “all’inizio del I sec. a.C., dei boschi
sacri di Roma rimangono solo miseri resti”, oppure un vago
ricordo sopravvissuto nel nome di qualche località (12). I Lucaria
infatti non sono le feste di una divinità particolare: sappiamo
solamente che erano una festività celebrata dai romani, tra il 19
ed il 21 luglio, in un grande lucus che si estendeva tra la via Sala-
ria ed il Tevere [“Lucaria, festa in luco colebant Romani qui perma-
gnus erat inter viam Salariam et Tiberim fuit ...” (Festo, p. 106 L1 =
245 L2)].
La stessa protezione dell’Asylum spettava ad un misterioso deus
Lucoris (Serv., ad Aen., II, 760), un dio del bosco, foggiato appun-
to sull’etimo lucus, come Silvanus da Silva. L’etimologia di lucus
sembra così indicare appunto l’apertura di una “radura”, un
luogo dove “piove luce”, una “superficie disboscata” in un
bosco o in una foresta: un vocabolo, per il Devoto, derivato dalla
radice della luminosità passiva leuk-, quindi uno spazio che può
ricevere luce in mezzo alla gran selva, ossia un’eccezione nel
cuore della foresta (il laukas- lituano = campo). Tuttavia il valore
del latino lucus è precisamente quello di un “bosco sacro” (Plin.,
N.H. XVII, 47, 6) e non profano, visto che anche celti e germani
ne facevano uso: “lucos ac nemora consecrant”, scrisse Tacito
(Germ. IX). La frontiera fra i due significati, come da tempo
appurato dal Dumèzil, “può non essere così assoluta” poiché in
una fase arcaica è possibile che sia avvenuto appunto il passag-
gio semantico-sacrale dal primo al secondo termine (louko-
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