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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


                  pagani degli alberi: “voi che vi eccitate [...] sotto un albero ver-
                  deggiante”, è il profeta Osea (Os., IV, 12-13) che s’indigna verso
                  coloro che “fanno sacrifici in cima alle montagne, bruciano offer-
                  te sulle colline, sotto le Querce, i Pioppi, i Terebinti”, ed è il pro-
                  feta Ezechiele che si scaglia contro il culto sumero-accadico di
                  Tammuz (Ez., 16), dio morente della vegetazione - equivalente
                  all’ellenistico Adone - cui erano strettamente legati i boschi sacri,
                  connesso appunto ai giardini funebri di primavera. È il “mes-
                  saggio yahwista”, acutamente indagato e “ben” compreso dal
                  Cardini – il profeta Elia massacra 450 profeti di Baal del Carme-
                  lo (I Reg., 18-19), dediti al culto presso alture, ossia montagne
                  coronate di boschi sacri - che viene pertanto doviziosamente
                  recepito ed attuato dai paleocristiani. Ma il simbolismo mitico-
                  rituale che alberi e boschi sacri ebbero in particolare nell’anti-
                  chità greco-romana e celto-germanica, fu talmente preponderan-
                  te da non poter esser certo dimenticato e cancellato nell’età
                  medioevale: la polarità vita-morte, benefico-malefico, fasto-nefa-
                  sto rispetto al singolo albero ed al suo legno, ritorna e sembra
                  perfino accentuarsi, connotandosi di nuove sfumature semanti-
                  che tra le diverse culture medioevali, ponendo tuttavia, sotto il
                  dominio “diabolico” e “maligno-infernale”, tutto ciò che era
                  appunto in odore di negatività, ossia di paganità (27). Nono-
                  stante ciò, l’antico vocabolario latino del bosco sopravvive, ripe-
                  tuto da testo a testo, ma termini quali silva, nemus, lucus sono
                  oramai privati di quell’arcaica valenza cultuale e sacrale che ne
                  permeava il genuino senso semantico. L’etimologista Isidoro
                  infatti, riferendosi al lessema aviaria (bosco popolato da uccelli)
                  ripete appunto Virgilio, “Aviaria secreta nemora dicta quod ibi aves
                  frequentant” (Etym., XVII, 6, 9), e non dimentica tuttavia che
                  “Nemus a numinibus nuncupatum, quia pagani ibi idola constitue-
                  bant” (Etym., VI, 6). Così Rabano Mauro usa come sinonimi “sal-
                  tus vel silva”, come Bartolomeo Anglico dice “et est idem silva,
                  nemus et lucus”. L’uso indiscriminato e indifferenziato della ter-
                  minologia classica depone quindi inevitabilmente a favore di
                  uno svuotamento di significato simbolico-rituale; i boschi
                  insomma rimangono esclusivamente nella categoria dell’utile,
                  legna da ardere o da lavorare per fini profani: non dimenticando
                  ovviamente l’ambientazione silvestre di parte dei principali cicli



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