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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


                  eugubine, nella forma di Grabovio; un attributo giovio anche di
                  tipo “arboreo” quindi, che dovrebbe desumersi sia da Virgilio
                  (Georg., III, 331-333): “[...] sicubi magna Iovis antiquo robore quercus
                  / ingentis tendat ramos”, che da Quintiliano (Inst., X, 1, 88): “sicut
                  sacros vetustate lucos adoremus, in quibus grandia et antiqua robora
                  iam non tantam habent speciem quantam religionem”. Gli stessi
                  Corinzi, per ordine dell’Oracolo delfico, veneravano un albero di
                  pino nel cui legno scolpirono un’immagine di Dioniso (Paus., II,
                  2, 7), cui fu sacro anche quest’albero. A Boiai in Laconia, un mirto
                  era adorato col nome di  Apτεμις Σωτειpα: difatti quest’ultima
                  divinità presso i Greci è spesso presente in un albero. Proprio ad
                  Orcomene in Arcadia, c’era uno  ξοανον  di Apτεμις Kεδpεατις
                  (Paus. III, 22, 12) in un albero di cedro (Pinus cedrus), e l’albero
                  del Citerone, su cui si credeva che Penteo arrampicato avesse
                  spiato le Menadi, fu quello che l’oracolo ordinò di venerare
                  (Paus. II, 2, 7). Sotto un platano poi, Ulisse e i suoi, ricevono il
                  presagio della futura vittoria sui troiani, in virtù dell’interpreta-
                  zione datane da Calcante (Om., Il., II, 307); sempre un platano è
                  l’albero di Elena, venerato a Sparta (Paus., II, 2, 7): quest’albero
                  (Platanus orientalis), risulta essere peraltro una specie europea già
                  presente in Francia alla fine del Terziario. L’olmo invece era l’al-
                  bero consacrato a Morfeo dagli antichi, l’Ulmus somniorum, così
                  chiamato da Virgilio (Aen. VI, 282-284) nel descriverne l’esem-
                  plare dell’Averno; più interessante ancora il prodigio attribuito a
                  quest’albero nel bosco sacro a Giunone nei pressi di Nocera (Pli-
                  nio, N.H., XVI, 132), durante la guerra coi Cimbri. La sommità
                  recisa dell’Olmo infatti, per l’incombenza sull’altare, e la sua
                  imminente rifioritura nel 105 a.C., secondo Giulio Ossequente,
                  furono un vaticinio ed un potentissimo omen, dopo gravi scon-
                  fitte, per l’imminente vittoria dei Quiriti ai Campi Raudii nel 101
                  a.C. Anche il salice - latino salix, greco ελιkη - fù un albero sacro
                  a diverse divinità: la Dea Era nacque tra i salici dell’Hεpαιον di
                  Samo, a Sparta si venerava anche Apτεμις Λυγοςδεσμα (= avvol-
                  ta di vermena), ossia adorna di λυγος, cioè di una varietà di Sali-
                  ce di cui era fatto il cespuglio in cui fu ritrovata (Paus. III, 16-17);
                  così lo stesso Orfeo riceve il dono dell’eloquenza toccando i sali-
                  ci di un boschetto sacro alla Dea Persefone e la culla dell’infante
                  Zeus sull’Ida, sembra fosse appesa proprio ai rami di un Salice.



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