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La criminalità organizzata peninsulare come fatto sociale totale
sistema risiede nel convincimento che l’insieme delle parti in esso
strutturate presentino la capacità di vantaggi competitivi maggiori
rispetto alle garanzie operative offerte dalla semplice somma di
componenti criminali non relate. In questa visione può trovare posto
l’idea di un’unica struttura criminale assimilabile a quella della pio-
vra (a quella di una holding criminale internazionale), ovvero l’idea
che presuppone l’esistenza di un terzo livello o di un grande vec-
chio, la presenza di convergenze parallele o di un doppio stato.
Il modello della rete (network) vuole privilegiare gli aspetti pro-
cessuali del fenomeno mafioso, prestando attenzione in partico-
lare alle dinamiche di radicamento, di espansione e di riprodu-
zione (ovvero di dipendenza, indipendenza, prevalenza) della
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manifestazione de qua .
Un gruppo mafioso è visto come una organizzazione sufficiente-
mente aperta verso l’esterno, ma, al tempo stesso, distinta e embed-
ded dal/nel contesto specifico di riferimento. In questo modello alle
relazioni verticali si affiancano quelle di carattere orizzontale: gran-
de rilievo è assegnato alle dinamiche di cooperazione e reciprocità.
La dimensione relazionale può essere analizzata alla luce della teo-
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ria del capitale sociale , inteso come insieme di risorse disponibili
nella rete di relazioni degli individui. Per questa via, la mafia può
essere vista come una organizzazione a rete, ma anche come rete di
organizzazioni, mentre l’ottica privilegiata è appunto quella che
focalizza le connessioni tra versante interno e versante esterno.
Dal punto di vista della struttura organizzativa che caratterizza i
gruppi mafiosi si può evidenziare l’esistenza di una dualità: una
21 (N.d.r.) È significativo ricordare il contributo offerto sul tema da alcuni studiosi della Scuola
di Chicago (tra questi R.E. Park, E.W. Burgess, H.W. Zorbaugh, L. Wirth, R. McKenzie, J. Gal-
bin) agli inizi del secolo scorso. Partendo dall’attenzione per la città di Chicago e per le
profonde trasformazioni che essa subisce in quegli anni, questo gruppo di studiosi, subendo
l’influenza del darwinismo, si propone di fondare una nuova disciplina, definita ecologia
umana, che consiste nello “studio delle relazioni spaziali e temporali degli esseri umani in
quanto influenzati da forze selettive, distributive e adottive che agiscono nell’ambiente”(Park
R.E., Burgess E.W. e McKenzie R., La città, Comunità, 1967, pag. 59). Si tratta di meccanismi
comuni a tutti i viventi: competizione per il territorio e per le risorse che esso offre, invasione
da parte di nuovi gruppi, simbiosi tra comunità differenti presenti in una medesima area.
22 (N.d.r.) Il concetto di capitale sociale, su cui si tornerà più compiutamente, è mutuato dagli
studi di James S. Coleman che partendo dalle prospettive dell’individualismo metodologico,
suggerisce di considerare le dotazioni di cui dispone ogni individuo come forme di capitale
distinguibili in capitale fisico, umano e sociale. Il capitale fisico è costituito da beni strumen-
tali tangibili (materiali o monetari) e il capitale umano dalle capacità e abilità della persona. Il
capitale sociale è invece costituito da relazioni sociali che hanno una certa persistenza nel
tempo e che gli individui in parte possiedono acriticamente (per esempio: relazioni parentali
o di ceto), o in parte costruiscono attivamente nel corso della loro vita (per esempio relazioni
di amicizia o conoscenze maturate nelle varie cerchie sociali in cui l’individuo è transitato).
SILVÆ - Anno VI n. 13 - 245