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La criminalità organizzata peninsulare come fatto sociale totale


            probabilmente l’adozione di quelle politiche ha prodotto inatte-
            se quanto inintezionali conseguenze: tutto questo non può, evi-
            dentemente, sorprendere, né scandalizzare.
            Nel dibattito italiano, così come in quello americano, le defini-
            zioni di criminalità organizzata oscillano tra formule che metto-
            no l’accento sul carattere politico-eversivo del fenomeno e for-
            mule che concentrano l’attenzione sulle implicazioni economi-
            che delle manifestazioni, dei comportamenti e nel complesso
            delle poliedriche attività devianti. L’organizzazione criminale è
            stata in effetti identificata, in Italia e negli USA, da un lato, come
            un soggetto sociale in grado di intrattenere proficue relazioni
            con pezzi del sistema politico e dell’economia legale, e dall’altro,
            come la parte del mondo criminale che svolge attività economi-
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            che illecite, ed in particolare di tipo produttivo .
            In Italia l’attenzione al fenomeno criminale si è concentrato,
            soprattutto negli ultimi anni, prevalentemente sulla mafia o
            sulle c.d. mafie, cioè su organizzazioni la cui genesi ha comples-
            se relazioni di interdipendenza con l’evoluzione politica, econo-
                                                                     11
            mica, sociale e culturale di alcune regioni meridionali .
            L’abbinamento criminalità organizzata-mafie non è tuttavia
            scontato. Sotto questo profilo non è insignificante ricordare che
            del sussistere di una criminalità autoctona - coincidente con le
            c.d. mafie - l’establishment italiano ha lungamente dubitato nel
            suo percorso post-unitario. Il riconoscimento delle mafie come
            criminalità, o rectius come criminalità organizzata, ha ricevuto la
            sua sanzione formale solo a partire dagli anni Settanta e, segna-
            tamente, nel 1976, con la conclusione dei lavori della commis-
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            sione antimafia della VI legislatura .
            10 (N.d.r.) Nelle mafie italiane, a differenza che in altre organizzazioni criminali, è prevalente l’o-
               biettivo del potere rispetto a quello dell’accumulazione della ricchezza. Ciò che risulta pre-
               dominante è il vincolo associativo (segreto) a scapito della dimensione imprenditoriale, ossia
               il fine politico (l’esercizio del potere sulla società) rispetto a quello economico (l’accumula-
               zione di capitali).
            11 (N.d.r.) In questa sede non verrà riportata la storia delle diverse mafie italiane, compito svol-
               to da una letteratura specialistica copiosa e qualificata cui si rimanda.
            12 (N.d.r.) Il passaggio lessicale che ha portato da un certo punto in poi a identificare le mafie alla
               criminalità organizzata non è di facile ricostruzione. La legge sul soggiorno obbligatorio del
               1965 ebbe origine in un disegno di legge governativo intitolato alla Prevenzione e repressione di
               particolari forme di reati della delinquenza organizzata, ma approdò alla sua definitiva stesura come
               Disposizioni contro la mafia, introducendo per la prima volta nell’ordinamento i termini di mafia
               e mafioso. La Relazione conclusiva della commissione antimafia della VI legislatura, che concluse
               i propri lavori nel 1976, non parla di criminalità organizzata ma di “attività di tipo mafioso, così
               da richiamare tutti indistintamente i comportamenti che siano comunque riconducibili, non
               solo direttamente, ma anche per assimilazione, alla manifestazione di mafia”.
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