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Psicopatologia del maltrattatore


                     Tenere gli animali in stato di soggezione e sfruttarli fino a provocarne la
                  morte, non curarsi delle loro sofferenze o infliggerne loro per utilità mate-
                  riale o per il puro gusto di ribadire il proprio potere su di essi o per mera cru-
                  deltà priva di scopo, non è stato diverso da parte dell’uomo nel corso della
                  storia, dal fare lo stesso con altri esseri umani posti, come appunto gli ani-
                  mali, in stato di “soggezione” trattamento riservato ai propri conspecifici.
                     Nella civilissima, proto-democratica Atene di Pericle era prescritto che
                  l’Autorità Giudiziaria interrogasse gli schiavi sotto tortura, anche se fosse-
                  ro chiamati come semplici testimoni. L’uomo ridotto in stato di schiavitù
                  era infatti divenuto sub-umano, anche quando ne fossero note (e utilizzate
                  da parte del padrone) elevate qualità intellettuali e morali. E immagini
                  come quelle, divenute tristemente celebri, del carcere americano in Iraq di
                  Abu Ghraib, mostrano chiaramente come la pratica della de-umanizzazio-
                  ne verso esseri umani ridotti in stato di soggezione, sia tuttora possibile.
                     I cani utilizzati ad Abu Ghraib per terrorizzare i prigionieri sono vit-
                  time anche essi, come lo sono i pitbull e i rottweiler e i dogo addestrati al
                  combattimento per il puro piacere perverso degli scommettitori e dei
                  voyeur della violenza. Un aspetto parziale della loro natura viene ampli-
                  ficato ed esasperato attraverso un condizionamento brutale, per essere
                  poi utilizzato senza il minimo rispetto, senza la minima pietà. Non diver-
                  samente diremmo per i maltrattamenti inflitti agli animali reclusi in cani-
                  li-lager, da cui a volte provengono esemplari che, rinselvatichiti dopo una
                  fuga, presentano comportamenti aggressivi in particolare contro gli
                  umani. Alcuni episodi che si sono verificati nel marzo 2009 a opera di un
                  nutrito branco di randagi nelle campagne del ragusano, vanno appunto
                  ascritti a tale pregressa condizione di sofferenza.
                     Proponiamo qui di seguito, per concludere, due schemi che cercano di
                  descrivere in modo semplice i principali atteggiamenti e comportamenti
                  umani verso gli animali, secondo un duplice range.
                     Ogni tipologia esemplificata (si tratta, evidentemente, solo di esempi
                  paradigmatici, non di un elenco esaustivo), risponde a un incrocio tra
                  una dimensione di atteggiamento (definita come umanizzazione/disuma-
                  nizzazione) e una di consapevolezza (alta/bassa).
                     È piuttosto evidente che:
                  - mentre le condotte situabili nel quadrante IV possono essere trattate
                     solo con il ricorso a misure di Legge (non apro qui l’annosa questione
                     dell’efficaciaia delle norme di Legge in relazione alla certezza delle
                     sanzioni piuttosto che alla loro severità);
                  - molte di quelle situabili nella parte inferiore dello schema sono condot-
                     te statisticameente e antropologicamente “normali”, e come tali sostan-
                     zialmente suscettibili di essere trattate piuttosto con azioni di propa-


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