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Maltrattamenti animali e violenza


                  sare agli scarafaggi a cui sono stati paragonati i Tutsi nella ossessiva
                  propaganda radiofonica nel corso del massacro ruandese del 1994 o ai
                  tacchini che sono stati richiamati per compararvi gli Iracheni in fuga
                  nella Guerra del Golfo.
                     Strettamente legato e emanazione di quello ora descritto è un altro
                  concetto cardine, quello del disimpegno morale o meglio della disattiva-
                  zione selettiva del giudizio morale: la violenza viene compiuta senza che
                  in sé venga riconosciuto un istinto che contraddice il proprio codice
                  morale, perché è semplicemente indotta dal ruolo che si riveste. Così esi-
                  stono comportamenti degradati e violenti che non sono l’espressione di
                  caratteristiche personali disfunzionali, ma solo l’emanazione del proprio
                  ruolo che si copre; si fanno proprie le norme e le regole dell’istituzione di
                  riferimento, indipendentemente dalle proprie caratteristiche di persona-
                  lità e dai propri principi di riferimento. Esempio principe può essere
                  quello di chi sottopone a sofferenza inaudite gli animali nel laboratori di
                  vivisezione, nella tranquilla serenità di chi si sente in pace con sè stesso e
                  anzi buon professionista nel suo campo.
                     Fondamentale è poi il concetto di giustificazione morale: il male inflit-
                  to è necessario, legittimato da scopi condivisibili e quindi l’attenzione,
                  per concentrarsi sulle ragioni di base, si distoglie dal male che viene com-
                  piuto, nella abusata convinzione che il fine giustifichi i mezzi. Si tratta di
                  un’argomentazione diffusa, funzionale per esempio a trovare attenuanti
                  alle guerre, che risulterebbero rispondere a scopi difensivi o a evitare
                  mali peggiori.
                     Ci si convince poi che attraverso la distorsione delle conseguenze, i
                  danni provocati sono contenuti: basta ricordare la teoria che tanto gli
                  animali non soffrono che, per quanto incredibile, vanta eminenti sosteni-
                  tori quali il filosofo Cartesio, il quale, nel 1600, sosteneva che gli animali
                  fossero solo automi incapaci di qualsiasi sorta di percezione ed esortava i
                  fisiologi a non preoccuparsi delle sofferenze di quelli usati nei laboratori.
                  Ancora oggi le riviste scientifiche quando usano termini quali dolore e
                  sofferenza in relazione alle terribili sofferenze della vivisezione, li virgo-
                  lettano, veicolando così, in modo implicito, pressoché subliminale, la con-
                  siderazione che il dolore fisico e psicologico non è in realtà appannaggio
                  degli animali non umani, e che i termini vengono usati solo per facilitare
                  la comunicazione che rimanda a concetti validi solo in riferimento alla
                  specie umana: non c’è nulla per cui darsi pena.
                     Con l’attribuzione di colpa alla vittima, si ribalta la responsabilità. E
                  allora ecco i maltrattamenti ai danni degli animali domestici, perché non
                  ubbidiscono.
                     Grazie alla desensibilizzazione, ha luogo un progressivo adeguamento


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