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Maltrattamenti animali e violenza


                     Il fatto che le vittime, oggetto di tali esternazioni, siano animali pre-
                  serva in genere, per i motivi già descritti, dalla possibilità di una puni-
                  zione e dal biasimo, ma le dinamiche sottostanti non sono certo diverse da
                  quelle che innescano la violenza intraspecifica, quella dell’uomo contro
                  altri uomini.
                     È comune sia tra le persone che hanno stabilizzato tratti di persona-
                  lità crudeli che in quelle che esprimono violenza in modo meno conti-
                  nuativo, più situazionale, scegliere come vittime predilette i più deboli:
                  non è certo un caso se in tutto il mondo esiste un enorme problema di
                  violenze contro i minori, di violenze contro le donne, di violenze contro
                  gli uomini meno tutelati, quali per esempio gli immigrati senza diritti.
                  Prendersela con chi non può difendersi è tratto di viltà che aggrava ulte-
                  riormente il quadro ben poco edificante di persone prepotenti, violente
                  e malvagie. Dare libero sfogo alle proprie pulsioni aggressive, pulsioni
                  che pure è innegabile siano presenti nelle potenzialità umane, non ela-
                  borarle, non incanalarle, non modificarle attraverso l’empatia, la soli-
                  darietà, la compassione significa non mettere in funzione un proprio giu-
                  dizio critico che plasmi il proprio comportamento sulla forma del rispet-
                  to per l’altro.
                     C’è qualcosa di profondamente immorale nel misurare la propria
                  potenza, il proprio valore sulla scorta della quantità di male che si è in
                  grado di infliggere all’altro. E non vi è dubbio che spesso le azioni violente
                  offuschino una insicurezza sottostante e siano il modo che un “io debole”,
                  bisognoso di conferme, usa per acquisire la forza che non sa trovare in
                  atteggiamenti cooperativi. La comprensione di questo percorso generati-
                  vo della violenza è fondamentale per contrastarla.
                     Sono importanti in questa ottica le riflessioni sulla violenza che i bam-
                  bini compiono sugli animali: luoghi comuni la inquadrano come tappa
                  pressoché obbligata del percorso di crescita, ma questa asserzione non
                  corrispondono a verità, perché invece tale violenza è a sua volta già
                  espressione di un malessere profondo.
                     A questo proposito è una sorta di pietra miliare il fatto che nel 1987,
                  per la prima volta, il DSM, manuale diagnostico dei disturbi mentali, dif-
                  fuso in tutto il mondo occidentale e allora alla terza edizione, abbia codi-
                  ficato la violenza sugli animali come uno degli indicatori di patologia,
                  riscontrabile nel «disturbo della condotta» di bambini e adolescenti e nel
                  «Disturbo Antisociale di Personalità», lo abbia quindi individuato come
                  comportamento presente in patologie caratterizzate dalla violazione dei
                  diritti degli altri e dalla significativa compromissione del funzionamento
                  sociale, scolastico e lavorativo. In questo modo  la violenza contro gli ani-
                  mali entra ufficialmente nel quadro di comportamenti che dovrebbero


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