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Il rapporto tra uomo e animali


                  e continuo rispetto alle scimmie antropoidi, e che si differenzierebbe da
                  esse solo per il fatto di possedere in maggiore misura le stesse caratteri-
                  stiche psico-intellettive: così introducendo l’idea che ambedue i gruppi di
                  esseri viventi comparteciperebbero di uno status per vari aspetti analo-
                  go, tale da giustificare anche, magari in modo indiretto, senza necessari
                  riferimenti al mondo morale, una comune, seppur embrionale, piattafor-
                  ma giuridica, definita da alcuni basilari diritti condivisi.


                  Qualche riflessione finale

                     In conclusione vorremmo osservare che spesso le teorie animaliste igno-
                  rano l’aspetto tragico inerente a ogni esistenza in quanto luogo di scelte
                  rivolte anche verso l’esterno, e non di ripiegamenti su se stessi (ovviamen-
                  te non ci riferiamo assolutamente a certa “visione tragica della vita”, in
                  voga in un passato non molto lontano, visione molto retorica che esaltava
                  figure titaniche e prometeiche). Per combattere l’antropocentrismo arro-
                  gante, tale animalismo vuole indurre nell’uomo una attitudine di margina-
                  lità rispetto alla natura, facendolo sentire quasi un “ospite indesiderato”,
                  dimenticando che può esistere un’altra possibilità e un altro percorso dove
                  la centralità dell’uomo, visto nella sua dimensione integrale, sia sentita e
                  realizzata come solidale con l’intera natura. Responsabilità significa anche
                  prendere decisioni difficili e controverse, non significa fuggire e appiattirsi
                  su schemi precostituiti, meccanici, che nascondono la paura di assolvere al
                  ruolo che l’essere umano, anche per la lunga eredità di cui è portatore,
                  deve necessariamente svolgere. Questa è deresponsabilizzazione maschera-
                  ta dietro un moralismo buonista di modesta caratura, nei fatti un po’ cini-
                  co. Al di là delle nostre colpe passate, oggi dobbiamo prendere coscienza
                  della realtà e ricordare l’esistenza di un legame, artificiale se si vuole, ma
                  derivante dalla storia (non fosse altro che per i lunghissimi processi di
                  domesticazione degli animali), legame che ci impone di modificare ma non
                  di annullare il nostro intervento sulla natura. Il complesso dell’ospite inde-
                  siderato è incapacitante e dannoso: va superato. In questa ottica volta a
                  una rivisitazione critica delle teorie animaliste, la lettura delle argomenta-
                  zioni portate da Scruton, indipendentemente dal fatto di condividerne gli
                  esiti finali, offre non solo delle utili “provocazioni”, ma anche un valido
                  metodo di analisi del problema, che tende a essere scevro dagli eccessi delle
                  astrazioni razionalistiche, valorizzando piuttosto un approccio sanamente
                  empirico. Egli pone all’attenzione del lettore argomenti e riflessioni che
                  quanto meno inducono a riflettere anche chi non li condivide, in un’ottica
                  aperta al dibattito e senza la pretesa di fornire certezze assolute, dogmati-
                  che, come spesso accade discutendo intorno a questi temi.


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