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Il rapporto tra uomo e animali


                  dall’antico pensiero europeo estraneo al cristianesimo. Inoltre opera
                  un’altra scelta selettiva: nei suoi pochi riferimenti a correnti e idee della
                  cultura classica l’Autore, purtroppo, sembra ignorare, o ritenere inin-
                  fluenti e quindi da non citare, tutti quegli esponenti del pensiero filosofi-
                  co occidentale antico, greco ma non solo, dai presocratici ai neoplatoni-
                  ci, che espressero idee e comportamenti concreti fortemente improntati,
                  sia nella teoria, sia nella prassi, a un forte rispetto verso gli animali. Ci
                  riferiamo a filosofi, o meglio “sapienti”,  quali Pitagora, Empedocle, Teo-
                  frasto, Stratone di Lampsaco, Plutarco, Porfirio, giusto per citarne alcu-
                  ni. Costoro, inoltre, erano in perfetta sintonia con quanto asserito e pra-
                  ticato nella cultura indù. Scruton, in questo vittima del pregiudizio tipi-
                  co di moltissimi occidentali nei confronti dell’oriente, rilevato già da
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                  René Guénon, fa riferimento a una presunta “passività induista” come
                  esempio di comportamento tollerante verso tutti i viventi, ma inaccetta-
                  bile e dannoso per gli stessi animali! Limitandoci al solo Plutarco (46 –
                  120 d.C.), ricordiamo che egli fu un fermo assertore dell’intelligenza degli
                  animali. Per il grande biografo e filosofo, ma anche sacerdote di Apollo a
                  Delfi, la vita possiede il carattere della intelligenza come realtà ad essa
                  intrinseca: “tutti gli animali partecipano in un modo o nell’altro dell’in-
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                  telletto e della ragione” dato che non vi può essere sensazione senza
                  intelligenza. Plutarco si avvale di una analogia con l’uomo, osservando
                  che la natura ha posto in noi la capacità di intendere come condizione
                  necessaria della sensazione. Quindi non può esistere un essere capace di
                  sentire – e gli animali posseggono questo carattere - che non sia anche in
                  grado dì comprendere, seppur in gradi diversi. Egli afferma che intelli-
                  genza e conoscenza costituiscono aspetti imprescindibili senza i quali il
                  vivente soccomberebbe: tali caratteri, quindi, non sono marginali e ines-
                  senziali, ma addirittura centrali anche nel vivente non umano, al pari di
                  ogni altro aspetto “biologico”. Così “non dobbiamo dire […] che gli ani-
                  mali, se anche hanno facoltà razionali più deboli e un’attività intellettua-
                  le peggiore della nostra, sono completamente privi dell’attività intellet-
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                  tuale, delle facoltà razionali e della ragione stessa” . Contro gli Stoici e gli
                  altri sostenitori della riduzione degli animali a cose Plutarco si esprime in
                  forma severa: “Quanti affermano stoltamente che gli animali non prova-
                  no piacere, né ira, né paura, che non fanno preparativi e non serbano
                  memoria, ma che l’ape è come se ricordasse, la rondine è come se prepa-
                  rasse il nido, il leone è come se provasse ira, il cervo è come se avesse
                  paura, non so come giudicheranno quelli che, a loro volta, sostengono

                  4 R.Scruton, Gli animali ecc. p. 87
                  5 Plutarco,  L’intelligenza degli animali di terra e di mare, in:  Del mangiar carne – Trattati sugli animali,
                    Adelphi, Milano 2001, p.108
                  6 ivi, pp.118-9

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