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Quando Nietzsche abbracciò un cavallo


            secondo la forza scalare del potere detenuto - tra i diversi gruppi sociali
            ( interni a parlamento, governo, magistratura e burocrazie). Cui seguono
            nuove contrapposizioni, in seno alla società civile e politica. Nonché la
            richiesta di altri interventi legislativi che “risolvano” in modo definitivo i
            nuovi contrasti, e così via.
               Sullo sfondo, come abbiamo visto, di un individualismo protetto,
            anch’esso in espansione, con al centro uomini, donne e bambini, sempre
            più capricciosamente bisognosi della compagnia di animali. E perché allo-
            ra non accontentarli? Soprattutto se tutto ciò può diventare un fattore di
            ordine?
               Ma non un fattore di stabile coesione sociale. Perché le nuove leggi, se
            approvate, daranno vita ad altre divisioni, legate a questioni applicative,
            secondo una spirale di natura circolare. Pertanto il confine tra ordine e
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            disordine resta piuttosto sottile e mobile .
            Il rischio della violenza

               Ciò accade perché i processi sociali hanno natura ciclica e non evolu-
            tiva, tendono alla ripetizione del semplice e del complesso e non all’unili-
            nearità dal semplice al complesso (o comunque evolvono ma all’interno
            di un ciclo evolutivo predeterminato, nascita, vita, morte). L’uomo socia-
            le è un animale “reiterativo”. La reiterazione di ciò che è stabile, come ad
            esempio l’ assumere certe posizioni all’interno di un dibattito, è fonte di
            sicurezza e gerarchizzazione (“noi”, i migliori, contro “loro”, i peggio-
            ri…): in una situazione di crisi, optare per una delle due parti in lotta è
            perciò fonte di identità. E quanto più si radicalizzano e dilatano le oppo-
            ste posizioni tanto più si riducono i margini di incertezza individuale e
            collettiva.
               Pertanto, di regola, il dibattito pubblico - soprattutto in una società
            che non riconosca altre fonti autoritative e/o veritative esterne - è sempre
            destinato a radicalizzarsi (se non a trasformarsi, in alcuni casi, addirit-
            tura in guerra civile) e prolungarsi nel tempo. Fino al primo “armistizio
            societario”, per poi riaccendersi, e così via. Certo, variando nelle dimen-
            sioni, durata e intensità, in base alle tradizioni storiche e culturali della
            società di riferimento. In realtà il dibattito puro può “funzionare”, ma
            fino a un certo punto, solo all'interno dei piccoli gruppi. Ma questa è
            un’altra storia.
               Pertanto c’è sempre il rischio, che per salvare un topolino dalla vivi-
            sezione, o al contrario per favorirne l’utilizzazione sperimentale, si fini-

            15 In argomento si veda l’eccellente studio di E. Werner, L’anteguerra civile. Il disordine come condizione del-
               l’ordine nelle democrazie contemporanee, (ed. or. 1998)  Edizioni Settimo Sigillo, Roma  2004.

                                                              SILVÆ - Anno V n. 11 - 45
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