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Quando Nietzsche abbracciò un cavallo
stesa la benevola mano dello stato, pronto ad appagare qualsiasi forma di
microegoismo, producendo leggi su leggi, in cambio dell’obbedienza poli-
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tica . Talvolta cieca.
Per farla breve: i diritti implicano, legiferazione, e la legiferazione,
implica nuovi diritti, in termini di crescenti e contrastanti interessi indi-
viduali, il che richiede nuove leggi, e dunque nuovi diritti, sui quali legi-
ferare. E così via. Si potrebbe parlare di un moltiplicatore giuridico-
sociale dalla forza tremenda.
Il che spiega il passaggio - in atto - dai diritti dell’uomo ai “diritti degli
animali”. Un processo che va visto anche alla luce di una sensibilità
mutata grazie alla crescita dei reddito medio e alla disponibilità di mag-
giore tempo libero, seppure massificato.
Per dirla brutalmente: quando gli stomaci sono pieni, il superfluo
diventa necessario. Per secoli aristocrazie cinguettanti, soprattutto nelle
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fasi di decadenza, si sono interessate al benessere degli animali . Oggi è il
momento di masse tanto satolle quanto le aristocrazie di un tempo. Affa-
mate, in chiave squisitamente moderna, di valori giuridici sconosciuti alle
società precedenti. Come appunto quei diritti individuali, sanciti da
Carte e Costituzioni, da estendere “doverosamente”, in termini di cre-
scente benessere per tutti, anche agli animali.
Certo, per i sostenitori dei “diritti degli animali” si tratta di una con-
quista, mentre per i detrattori di una retrocessione dell’uomo dal centro
alla periferia del Creato. Per l’osservatore neutrale, invece, siamo al
cospetto di una forma estensiva (anche agli animali) di “individualismo
protetto”. Spieghiamo perché
Che cos’è l’individualismo protetto?
Parliamo di un individualismo senza eguali nella storia. Nel senso che
oggi i diritti individuali devono essere ( e sono) garantiti da strutture pub-
bliche: dal potere sociale. L’individuo è libero di decidere ma all’interno
di un “percorso” istituzionale e societario obbligato: gli si dice che obbe-
disce a se stesso. Un “percorso” che in realtà finisce per condizionare,
spesso pesantemente, la decisione del singolo. E senza che quest’ultimo se
ne accorga.
6 A. de Tocqueville, La democrazia in America (ed. or. 1835-1840), in Idem, Scritti Politici, a cura di N. Mat-
teucci, Utet, Torino 1981, in particolare il Libro Secondo, Parte Quarta (pp. 783-828). Ma su questo aspetto si
veda N. Matteucci, Alexis de Tocqueville. Tre esercizi di lettura, Il Mulino, Bologna 1990, in particolare il capi-
tolo II, pp. 91-117 (“Tocqueville e la modernità”).
7 Sui rapporti fra aristocrazie e decadenza rinviamo al classico V. Pareto, Trattato di sociologia generale (ed. or.
1916), Utet, Torino 1988, vol. IV (“La forma generale della società”). Per alcuni utili spunti sulla relazione fra
decadenza e classi sociali, si veda J. Freund, La décadence, Sirey, Paris 1984, cap. V, pp. 132-199 (“Les théo-
ries générales de la décadence”).
SILVÆ - Anno V n. 11 - 41