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Dall’antropocentrismo all’affermazione dei diritti animali


                  bilità umana. La salute e l’integrità fisica dell’animale rappresentano
                  l’oggetto materiale del reato ma non l’oggetto diretto della tutela. Accan-
                  to all’articolo 727 del Codice Penale va letto, in combinato disposto,
                  quanto previsto dall’articolo 638 del medesimo Codice, concernente le
                  ipotesi di “uccisione o danneggiamento di animali altrui”. In realtà que-
                  st’ultima disposizione si occupava degli animali che appartengono ad
                  altri, andando a tutelare non tanto i diritti degli animali quanto gli inte-
                  ressi dei loro proprietari che possono essere lesi dai danni o dalla morte
                  dei propri animali, considerati alla stregua di cose; infatti, questa previ-
                  sione si colloca fra i delitti contro il patrimonio, di cui gli animali vengo-
                  no considerati quale semplice componente. Ai sensi della formulazione
                  originale dell’articolo 638 C.p., una persona poteva quindi lecitamente
                  uccidere sia il proprio animale, che un qualsiasi animale randagio privo
                  di proprietario. La chiara formulazione di questa disposizione non ha
                  dato adito a problematiche interpretative, venendo utilizzata semplice-
                  mente per risarcire i danni causati alle ‘cose-animali’.
                     A differenza dell’articolo 638 C.p., l’articolo 727 C.p. è stato oggetto
                  invece di una continua e costante elaborazione dottrinale e soprattutto
                  giurisprudenziale, ed è principalmente il contributo della giurispruden-
                  za ad avere progressivamente esteso l’applicabilità di tale disposizione
                  modificando gradualmente la posizione degli animali, cercando di affian-
                  care alla tutela del sentimento di pietà che l’uomo prova verso gli ani-
                  mali, la protezione diretta degli stessi considerati quali esseri capaci di
                  reagire agli stimoli del dolore. Così la stessa Corte di Cassazione nel
                  1990, sostenne che “in via di principio il reato di cui all’articolo 727 del
                  codice penale … tutela gli animali in quanto autonomi esseri viventi,
                  dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore,
                  ove essi superino una soglia di normale tollerabilità. La tutela penale è
                  dunque, rivolta agli animali in considerazione della loro natura” (Cas-
                  sazione Penale, Sez. III, 27 aprile 1990, n. 6122, in Rivista Penale,
                  1990, 545).
                     L’evoluzione giurisprudenziale ha reso dunque punibili non solo i
                  comportamenti che offendono il comune senso di pietà verso gli animali,
                  ma tutte le condotte ingiustificate, anche involontarie, che vanno ad inci-
                  dere sulla sensibilità dell’animale producendogli dolore. Si afferma così il
                  divieto di maltrattamenti, incrudelimenti ed uccisioni “gratuite” di un
                  animale in quanto questo è considerato quale essere vivente dotato di una
                  propria sensibilità.
                     Si nota come per un lungo periodo, alla sensibilità dei giudici faccia
                  riscontro una legislazione decisamente cauta nel riconoscimento anche
                  solo di una parziale soggettività agli animali. L’incremento degli inter-


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