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Dall’antropocentrismo all’affermazione dei diritti animali


                     Malgrado gli sforzi interpretativi della giurisprudenza volti a colmare
                  le lacune presenti, la più grave incompletezza della nuova disposizione
                  penale restava la mancata previsione e punizione dell’uccisione ingiusti-
                  ficata di animali: Tale fattispecie, infatti, veniva prevista solamente nel
                  secondo comma dell’articolo, quale circostanza aggravante delle condot-
                  te di maltrattamento tipizzate nel primo comma, non divenendo oggetto
                  di un’autonoma valutazione e disciplina.
                     Il paradosso logico-giuridico derivante dal combinato disposto degli
                  articoli 638 e 727 del Codice Penale si sostanziava dunque nel divieto di
                  uccidere o deteriorare un animale altrui, ma nella possibilità di uccidere
                  un animale proprio (o di nessuno), perché l’uccisione veniva prevista solo
                  quale aggravante del maltrattamento e non quale condotta autonoma, per
                  cui un’uccisione non preceduta da forme di maltrattamento non poteva
                  essere punita.
                     Le insufficienze presenti nella riforma dell’articolo 727 del Codice
                  Penale, unite al problema, nel frattempo divenuto sempre più urgente,
                  di un’efficace disciplina sanzionatoria del fenomeno del combattimento
                  degli animali, hanno convinto il Legislatore ad affrontare una nuova ed
                  approfondita riflessione in materia, che ha condotto nel luglio del 2004,
                  all’approvazione della legge n. 189 contenente “disposizioni concernen-
                  ti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli
                  stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”.
                  L’approvazione di questa legge risulta particolarmente significativa
                  perché viene introdotto il principio ai sensi del quale i reati commessi a
                  danno degli animali non rientrano più nell’ambito dei reati contro la
                  proprietà o contro la polizia dei costumi, ma hanno un proprio specifi-
                  co oggetto ed esigono un titolo apposito. L’intervento normativo eleva
                  dunque l’animale dalla condizione di res, mero referente di diritti
                  altrui, e gli conferisce una nuova soggettività. L’inedita denominazione
                  di questa tipologia di reati può forse risultare un po’ macchinosa, in
                  quanto essi vengono rubricati quali “delitti contro il sentimento per gli
                  animali”; tale intitolazione risente ancora di una visione antropocentri-
                  ca: assai più chiara sarebbe stata infatti un’intestazione esplicita: “dei
                  delitti contro gli animali”, e la scelta effettuata è la testimonianza della
                  volontà di non escludere l’elemento del sentimento umano dalla consi-
                  derazione dei delitti e dei maltrattamenti che possono essere inflitti agli
                  animali.
                     L’articolo 727 C.p. rimane nell’ambito delle “contravvenzioni concer-
                  nenti la Polizia dei costumi” ma il nuovo titolo oltre a scorporare una
                  parte del vecchio articolo 727 introduce fattispecie originali di notevole
                  interesse.


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