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Il maltrattamento degli animali e le pene accessorie


            ni del codice penale. “Detta materia - è scritto nella circolare - può tro-
            vare idonea collocazione nell’ambito del VI dipartimento”. I responsabi-
            li di maltrattamento animale vanno, dunque, perseguiti allo stesso livello
            di severità di chi sbaglia un intervento chirurgico, sfrutta un lavoratore
            in nero oppure commercializza prodotti alimentari senza i dovuti con-
            trolli.
               Da ultimo si segnala come la Terza Sezione della Corte di Cassazione,
            nella sentenza del 21 dicembre 2005 n. 46784, abbia affrontato il tema del
            maltrattamento degli animali in relazione ai reati venatori precisando
            che: “Vero è che l’art. 19 ter delle disposizioni transitorie del codice
            penale, introdotto dall’art. 3 L. 189/04, stabilisce che “le disposizioni del
            titolo IX bis del libro Il del codice penale fra cui rientra l’art. 544 ter non
            si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia ...”,
            ma è anche vero che “l’uso a scopo venatorio di richiami vivi con moda-
            lità che, se anche non vietate espressamente dalla L. 157/92, debbono
            ritenersi illecite, non costituisce alcun dei casi previsti dalla legge specia-
            le in materia”
               Invero, sostiene la Suprema Corte, che anche se la legge n. 157/1992
            consente l’uso, a scopo venatorio, di richiami vivi, tuttavia lo stesso prov-
            vedimento normativo vieta che ad esseri viventi dotati di sensibilità psico-
            fisica, quali sono gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze, con
            offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali ed, a tal fine, elen-
            ca - con carattere meramente esemplificativo - dei comportamenti da con-
            siderarsi vietati, ma non legittima l’uso di richiami vivi con modalità
            parimenti offensive. Detta legge, infatti, non esaurisce la tutela della
            fauna in quanto limiti alle pratiche venatorie sono posti anche dal previ-
            gente art. 727 c.p. e dall’attuale art. 544 ter c.p., i quali hanno ampliato
            la sfera della menzionata tutela attraverso il divieto di condotte atte a
            procurare agli animali strazio, sevizie o comunque, detenzione attraver-
            so modalità incompatibili con la loro natura.
               Da ciò deriva che la legittimità delle pratiche venatorie consentite sulla
            base della legge n. 157 del 1992 deve essere verificata anche alla luce delle
            norme del codice penale. Per cui, l’uso di richiami vivi deve ritenersi vie-
            tato non solo nelle ipotesi previste espressamente dalla legge n. 157/1992,
            art. 21, comma 1, lett. r), ma anche quando viene attuato con modalità
            incompatibili con la natura dell’animale come è la pratica di imbracare
            un volatile, legarlo con una fune, strattonarlo ed indurlo a levarsi in volo,
            per poi ricadere pesantemente a terra o su un albero, che significa sotto-
            porre lo stesso, senza necessità, a comportamenti e fatiche insopportabi-
            li e non compatibili con la sua natura ecologica.
               Per l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., non è sufficien-

                                                              SILVÆ - Anno V n. 11 - 21
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