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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale



               visioni esatte riguardo agli eventi futuri o poco lungimiranti nel saper-
               le prevedere, ma che ci sentiamo sempre meno moralmente responsa-
               bili delle conseguenze delle nostre azioni; siamo sul piano etico del
               senso, non su quello della probabilità statistica. Quest’atteggiamento,
               molto più pericoloso di tutti gli istinti malvagi innati nell’uomo, ci
               proietta all’interno della stessa logica che reggeva la discolpa di Adolf
               Eichmann.
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                  Nel libro dedicato al processo di Eichmann, Hanna Arendt sostie-
               ne che lo zelante funzionario nazista non voleva fare il male: semplice-
               mente non ha mai saputo quello che faceva. La Arendt non ha fatto
               altro che mettere in risalto la lontananza dalla realtà, la mancanza di
               idee (thoughtlessness) di Eichmann, miopia dietro la quale molto spesso
               anche noi ci trinceriamo. L’unica giustificazione che Eichmann duran-
               te il processo a Gerusalemme ha saputo dare del suo comportamento,
               è stata quella di ridurre la sua funzione al rango di semplice ingranag-
               gio all’interno di un meccanismo più complesso di cui non conosceva
               le finalità. La sua azione, al pari di quella di una rotella dell’orologio, era
               meccanica ed inconsapevole degli effetti futuri. Da questo punto di
               vista, egli scambia (come fa Voltaire nel Candide interpretando scorret-
               tamente il Principio di Ragione leibniziano) la causalità efficiente e i
               suoi nessi cogenti di cause-effetti, di antecedenti-conseguenti, con il
               «regno dei fini», degli scopi e delle ragioni che causano una decisione –
               stessa malattia che affligge il nostro tempo. Mentre dovremmo accet-
               tare una responsabilità infinita nei confronti dell’ordine naturale del
               mondo, pur apparendo ciò come un peso insostenibile, il meccanismo
               per il quale non ci sentiamo responsabili d’effetti (in questo caso
               ambientali) geograficamente e temporalmente lontani dalle cause che li
               hanno prodotti, rassicura fin nel profondo il nostro animo.
                  Eichmann è invece pienamente responsabile dei suoi crimini, e
               altrettanto lo siamo noi delle nostre azioni, non perché siamo in grado
               di portare alla luce i determinismi causali che spiegano il suo compor-
               tamento, ma perché vi sono delle ragioni all’interno della libertà del-
               l’accusato; l’errore non va ricercato nei meccanismi causali che hanno
               condotto al delitto, ma nelle ragioni che l’incriminato aveva di com-
               metterlo: non sul versante della natura, ma su quello della libertà. Que-
               sta schizofrenia moderna, crede ciecamente nella possibilità che ogni
         Anno
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               11 H. ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1995.
         n.
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