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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale
2. La derealizzazione della catastrofe.
a) Dalla teodicea all’antropodicea
Ai «vizi concettuali» fin qui incontrati, si aggiungono consolidate
riflessioni sulla natura del male. Le risposte date alla domanda sul senso
degli eventi o le considerazioni ravvivate ad esempio dallo tsunami del
2004, non sono poi molto diverse da quelle formulate dopo lo storico
terremoto che il I novembre 1755 mandò in frantumi la capitale por-
toghese e qualsiasi ottimismo metafisico. Naturalmente le parole utiliz-
zate non sono più le stesse, ma le risposte che la società formula di
fronte alla catastrofe rimangono sorprendentemente simili.
Il problema del male fu affrontato di petto nel sistema monocausa-
le agostiniano, gettando le basi per le successive teodicee. Il male si
compone su un triplice piano, metafisico, morale e fisico. Se il male
metafisico è inerente alle limitazioni dell’essere e conveniente all’ordi-
ne del creato, per cui ogni sostanza è perfezione e il male è diminuzio-
ne del bene delle nature, il male morale è frutto dell’uso disordinato
della volontà, mentre quello fisico è proprio della condizione umana,
conseguenza della colpa (Confessioni, VII, 7, 11-13, 19). Dio non ha
dunque voluto il male morale, ma non ha potuto fare altro che per-
metterlo, perché creando l’uomo a Sua immagine lo ha creato libero,
quindi libero di scegliere il male. La causa del peccato e del male mora-
le è l’uomo stesso, e la morte, la malattia o le avversità diventano la giu-
sta punizione inflitta da Dio a chi aveva peccato contro di Lui. A tal
proposito, Dupuy riporta il versetto del Vangelo di Luca (13, 4) – «E
quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che
fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?» – il quale
esemplifica il modo in cui si è soliti pensare che il male sia la giusta
punizione per le mancanze e colpe umane.
Per quanto possa sembrare semplicistica la giustificazione data, una
pseudo-risposta che priva di qualsiasi sostanzialità il male, perpetua
invece nei secoli rafforzandosi proprio nelle due repliche filosofiche al
cataclisma di Lisbona, quella di Voltaire e quella di Rousseau. Il primo
pubblicò nel 1756 il Poème sul désastre de Lesbonne, al quale replicò Rous-
seau lo stesso anno indirizzandogli una celebre lettera.
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Nella Lettre à Monsieur de Voltaire e ne L’Emile, il filosofo ginevrino Anno
sostiene che gli uomini sono la causa dei loro stessi mali. Di conse- IV
9 J.J. ROUSSEAU, Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1959, vol. IV, pp. 1061-1062. -
n.
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SILVÆ 271