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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale



            riscaldamento climatico, avrebbero potuto frenare l’avanzata dell’onda
            e ridurre significativamente le dimensioni del disastro. Inoltre, le auto-
            rità thailandesi erano state rapidamente informate dell’esistenza del
            sisma e della probabilità di uno tsunami, ma avevano deciso di non dare
            l’allarme per non mettere in pericolo l’industria turistica del Paese. La
            radice del male sta dunque nell’uomo, nella sua libertà morale natural-
            mente indirizzata al peggio. Oggi come allora, il male morale sommer-
            ge e nasconde ogni eventuale residuo del male naturale e fisico, mentre
            la teodicea, la spiegazione del male in termini che seguono evidente-
            mente la nostra idea del rapporto esistente tra colpa e pena, si rivela
            una forma mentis universale di ogni uomo posto di fronte alla disgrazia.
               Neanche i commenti volterriani son mancati. Si è visto come alcu-
            ne persone sono scampate al cataclisma in condizioni improbabili, a
            volte grottesche; altre, che stavano loro accanto, sono state trascinate
            via senza pietà. Alcuni bimbi sono sopravvissuti seduti su un materas-
            so, mentre altri sono stati strappati dalle braccia della madre. Tutto que-
            sto senza un’altra logica se non quella della cieca sorte. La natura appa-
            re in questo modo dominata da un caos non razionalizzabile ed impos-
            sibile da capire, irrimediabilmente impenetrabile per la ragione umana.
            Se non proprio senza alcuna ragione – come c’insegna il sarcasmo del
            Candide – nasce l’impressione che il senso dell’evento è che non ha nes-
            sun senso, o per lo meno uno a noi accessibile.
               Di là dal buonismo che ha tentato in seguito di trasformare la cata-
            strofe thailandese in una corsa per gli aiuti, in una struggente favola
            natalizia la quale dà l’impressione che l’uomo sia sempre in grado di
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            superare le difficoltà , la resa d’ogni ragione appare tuttavia illecita. Lo
            stile volterriano con cui il Vecchio di Romanzo criminale sentenzia che
            questo non è più il secolo di Hegel, ma il secolo di Magritte, il secolo
            in cui non c’è niente che colleghi le cose tra loro, tranne il caso, è
            immorale e ci richiama all’attuazione di nuovi percorsi di senso. Con
            ciò, non s’intende sostenere che siamo statisticamente in grado di pre-


            10 «La generosità del mondo è stata senza dubbio sorprendente, ma noi a volte ci serviamo della com-
               passione come di una nebbia dalla quale ci avvolgiamo per non vedere l’abisso. C’è qualcosa di mor-
               boso nel trasformare questo disastro in una storia felice che ci riscalda il cuore in questo periodo  Anno
               festivo. C’è qualcosa di morboso nel farne una storia che parli di noi, che abbiamo dato, molto più
               che di loro, le cui vite sono state spezzate. Ed è decisamente morboso farne il pretesto per medio-
               cri lamentele politicanti, come molti hanno fatto in un modo che provoca la nausea. Questo è il  IV
               momento della pena che proviamo pensando ai morti e a tutti quelli, tra noi, che non trovano spie-  -
               gazione». D. BROOKS, A time to Mourn, in “New York Times”, 1 gennaio 2005.  n.

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