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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale
Nella parabola andersiana, il futuro è anticipato dal profeta, da colui
che grazie alle proprie capacità riesce a rappresentare ciò che avverrà.
Il «profeta di sventura» ha un rapporto conflittuale con la società poi-
ché se le sue previsioni si realizzano nessuno è a lui grato, ed è accusa-
to di essere la causa della disgrazia annunciata; se invece la catastrofe
non si verifica, si dileggia a posteriori la sua aria da Cassandra, destinata
a fare previsioni inascoltate. Nell’atteggiamento comune non si tiene
però mai conto del fatto che se la catastrofe non c’è stata è proprio per-
ché l’annuncio è stato fatto e ascoltato. «La profezia di sventura è fatta
per scongiurare che si verifichi quanto è temuto; sarebbe il colmo del-
l’ingiustizia deridere in seguito gli allarmisti con l’argomento che in
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fondo non è andata così male; l’aver avuto torto sarà il loro merito» .
Mentre l’anticipazione del futuro al presente permette di rendere
credibile la prospettiva della catastrofe, l’idea di questa circolarità non
ha però alcun senso nella metafisica comune. La nostra idea di preven-
zione consiste per lo più «nel fare in modo che un possibile che non si
vuole, venga spedito nel campo ontologico dei possibili non attualiz-
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zati» . Le previsioni odierne, anche se determinate alla luce di eviden-
ze scientifiche, mantengono nella metafisica comune lo statuto di pos-
sibile, cioè possono o non possono realizzarsi. Il futuro è immaginato
come un’arborescenza, come un catalogo di futuri possibili, e quello
realizzato sarà quello che noi abbiamo scelto; ciò che è possibile è quin-
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di destinato a non realizzarsi necessariamente . Questo modo d’inten-
dere il futuro è in ogni modo familiare: appartiene a film di fantascien-
za che tratteggiano la struttura della nostra logica temporale, quali
Minority report (Spielberg, 2002) o La zona morta (1983) di David Cro-
nenberg; si ritrova anche nella letteratura di Borges, in cui il tempo è il
«giardino dei sentieri che si biforcano». Ma tale concezione del possi-
bile ha in realtà delle origini moderne, se non Scolastiche, ben radicate
nella tradizione metafisica.
È con Leibniz che si passa definitivamente dalle modalità tipiche della
tradizione aristotelica, in cui ciò che è possibile è destinato, prima o poi,
a realizzarsi (Principio di Pienezza), alle modalità logiche, in cui possibi-
le è tutto ciò che non è contradditorio, ma non per questo il possibile è Anno
5 H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 2002, p.
150. IV
6 J.P. DUPUY, Piccola metafisica degli tsunami, cit., p. 17. -
7 Ivi, pp. 17-18. n.
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