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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale



            quest’ultima un destino, senza intenzione ma in grado di annientarci.
            L’astuzia consiste nel fare come se fossimo la sua vittima, pur essendo
                                                                     15
            consapevoli che siamo la causa unica di ciò che succede» . Infatti, se il
            catastrofismo illuminato punta a dividere l’umanità dalla propria vio-
            lenza, facendo di quest’ultima un vero e proprio «destino», esso è effi-
            cace nel realizzare un grande raggiro: convincere l’umanità del fatto che
            essa è vittima e causa di quanto può accadere. L’intersezione del piano
            morale con il catastrofismo naturale, ne esce se possibile ancor più
            rafforzato, in quanto il riferimento al regno della Natura rappresenta
            un’astuzia metafisica per sbarazzarsi di una parte di responsabilità del
            male facendo di esso una fatalità, una trascendenza laica.
               L’illusione che accompagna l’osservatore odierno è la stessa con cui si
            ritengono le catastrofi passate «esperimenti di catastrofi», giammai reali ma
            sempre «prove generali» in attesa di uno sconvolgimento planetario più
            grande dei precedenti. Sicché, dinanzi alla catastrofe manteniamo due
            alternative condotte, entrambe irreali e idealizzanti: (a) o si confida ottimi-
            sticamente nella capacità risolutiva dell’uomo, in un’ultima sterzata che
            evita l’impatto disastroso; (b) o si accetta fatalmente e con sottomissione
            un destino di cui non ci sentiamo artefici. La prima possibilità è l’imme-
            diata conseguenza del tracotante orgoglio metafisico moderno, dove tutto
            ciò che costituisce finitezza dell’uomo è ridotto al rango di problema da
            risolvere. Parimenti, se è la vulnerabilità delle infrastrutture, il numero di
            danni e gli effetti sulle istallazioni umane, il parametro che misura la dimen-
            sione delle catastrofi, s’immagina che migliorando la sicurezza delle istalla-
            zioni, o eliminandole del tutto, si elimini anche la catastrofe. Ciò compor-
            ta la derealizzazione dell’evento catastrofico: mentre si confida nell’ade-
            guatezza delle misure cautelative, e nel fatto che tutto possa volgersi al
            meglio grazie alla nostra volontà e capacità, ogni allarmismo diventa infon-
            dato. Questo è l’ostacolo più insormontabile per la posizione del catastro-
            fismo illuminato – l’atteggiamento in grado di proteggerci da noi stessi.
               Più articolato è il percorso che giunge ad accettare la seconda ipotesi.
            L’eccessiva moralizzazione della catastrofe, intesa come un qualcosa d’ine-
            vitabile e giusto, la moneta con cui la natura ripaga le nostre colpe ambien-
            tali, spesso dimentica che l’universo fa semplicemente il suo corso. Biso-
            gna dunque concludere che le catastrofi fanno parte dell’orizzonte natura-  Anno
            le degli eventi e che il principio di precauzione ha delle basi più solide di  IV



            15 J.P. DUPUY, Piccola Metafisica degli tsunami, cit., p. 111.              -
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