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Imparare dalla catastrofe. Riflessioni sul senso odierno del male e della prevenzione ambientale



               quanto non sembri. Lo scomodo principio, per il quale la mancanza di una
               certezza scientifica circa i rischi e la probabilità di future catastrofi non
                                                                 16
               deve essere addotta come scusa per non fare nulla , rimane spesso ina-
               scoltato, così com’è riduttivo pensare che debbano essere accolti soltanto
               gli allarmi lanciati dalla comunità scientifica, o formulati nel linguaggio
               della scienza odierna. Le statistiche e i modelli probabilistici sono di certo
               utili, ma sono per lo più rassicuranti e non spingono verso un nuovo spi-
               rito cautelativo. Ad esempio, anche se la probabilità di un disastro nuclea-
               re in una centrale di ultima generazione è prossima allo zero, ciò non toglie
               che l’evento sia sempre possibile; che tale valore sia vicino alla certezza
               assoluta o allo zero, non muta lo statuto dell’evento; il nostro compito
               diventa perciò un altro, ed è quello di lavorare sulle condizioni sine qua non,
               sui requisiti necessari e sufficienti perché la catastrofe non accada. Questa
               forma di prudenza riconosce la catastrofe come tale – non come una pos-
               sibilità remota – né chiede di riuscire a immaginare «l’impossibile», ma
                                                                                    17
               semplicemente di riconoscere, come ha scritto Nassim Nicholas Taleb ,
               che «la razza umana è affetta da una sottovalutazione cronica della possi-
               bilità che il futuro si allontani da un percorso inizialmente previsto».
                  Tuttavia l’ottica utilitaristica è sempre pronta a rinegoziare il valore
               del principio di precauzione in nome dei benefici economici che deri-
               vano dalla possibilità d’intraprendere dei rischi; il tornaconto economi-
               co monetario, il rapporto rischi-benefici, è la sola motivazione trovata
                                                                   18
               perché il principio di precauzione resti lettera morta . Questa va anno-
               verata come la prima responsabilità dell’uomo nei confronti delle situa-
               zioni causate dallo scatenarsi dei fenomeni naturali. Attuare una sorta
               di rivoluzione che recuperando il concetto metafisico di futuro e quel-
               lo etico di responsabilità sappia costruire percorsi di attenzione nei
               confronti di tutta la natura e dell’uomo, è invece fondamentale. La
               nuova – e necessaria – «moralizzazione» del genere umano può fare a
               meno dell’ottimismo e del pessimismo ma deve, con lucidità, ricono-
               scere la propria finitezza, avviando percorsi capaci di colmare i bisogni
               generati dallo stato naturale dell’uomo, caduco e precario.




               16 Cf. J. BOYKOFF, M. BOYKOFF, An Inconvenient Principle, in “CommonDreams.org”, 6 luglio
                 2006, http://www.commondreams.org/views06/0706-26.htm
               17 Cf. N.N. TALEB, Il Cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano
         Anno
                 2008.
         IV
               18 Entro quest’ottica si muove l’ultimo lavoro di B. LOMBORG, Stiamo freschi. Perché non dobbia-
         -
                 mo preoccuparci troppo del riscaldamento globale, Mondadori, Milano 2008.
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