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Il riciclaggio del denaro di provenienza illecita connesso alla gestione dei rifiuti ferrosi



               pieno nel concetto di rifiuto di cui all’art. 6 comma 1 lett. “a” del
               Decreto Legislativo 22/97, trattandosi da un lato di materiali ricondu-
               cibili alle categorie di cui all’all. A (vuoi come residui di lavorazione e/o
               di produzione), dall’altro di beni di cui l’originario detentore, diverso
               dalla società destinataria ed utilizzatrice finale, si è disfatto. È ben vero
               che il rifiuto si definisce in quanto vi sia un detentore che di esso “si
               disfi”, o “abbia intenzione di disfarsi”, occorre però avere riguardo
               all’origine della sostanza e quindi al ciclo produttivo che l’ha generata e
               non già all’utilizzatore finale. Non vi sono dubbi che i rottami di ferro
               provenienti da demolizioni, residui di lavorazioni, siano materiali di cui
               gli originali detentori si siano disfatti, anche se avviandoli ad una atti-
               vità di recupero, indifferente essendo che detti materiali siano ancora
               suscettibili di riutilizzazione economica o che si tratti di sostanze già
               prima inserite, direttamente o indirettamente, in un processo di lavora-
               zione industriale.
                  Il Decreto Legge 8 luglio 2002 fu convertito con la Legge 8 agosto
               2002 n. 178 mediante la “interpretazione autentica della definizione di rifiuto”
               con la quale si stabiliva che non si trattava di rifiuti se gli stessi poteva-
               no essere ed erano effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel
               medesimo o in analogo ciclo produttivo o di consumo anche dopo aver
               subito un trattamento preventivo. Si tratta di una impostazione contra-
               stante con la giurisprudenza costante della Corte europea, la quale ha
               sempre sostenuto che, in base al principio di precauzione, non sono
               consentite interpretazioni restrittive del termine “rifiuto”. Tanto è vero
               che, come già anticipato, la Corte dichiarava il predetto art. 14, con la
               sua “interpretazione autentica”, contrastante con il diritto comunitario con
               riferimento proprio ad un procedimento relativo ai rottami metallici e,
               nel contempo, estendeva tale contrasto anche alle cosiddette “materie
               prime secondarie” introdotte dall’ordinamento italiano, precisando secca-
               mente che un rifiuto resta tale fino a che non venga completato intera-
               mente il processo di recupero.
                  In particolare la sentenza, riprendendo la pregressa giurisprudenza
               della Corte, affermava tre principi: i rifiuti industriali restano tali anche
               se sottoposti a cernita o trattamento e perdono tale qualifica solo quando costi-
               tuiscono il prodotto finito del processo di trasformazione cui sono destinati; i rotta-
               mi metallici, quindi, resterebbero rifiuti, secondo tale pronunciamento,
         Anno
               fino a che non vengono totalmente recuperati in acciaieria; è ammesso
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               qualificare un materiale derivante da un processo di fabbricazione che
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