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La ripresa della natura: le riflessioni del cinema su un concetto ambiguo
visibilità alle forme e ai gesti dell’invisibile», riesce in qualcosa che non è
stato possibile per generazioni di pensatori “naturalisti”: «a dare un tempo
- cinematografico - all’atemporale, una voce e un canto ai silenzi dei pri-
mordi» [Arecco, 70]. Tuttavia lo spettacolo dell’isola è solo il prologo di
una carneficina in cui i marines moriranno a centinaia, in seguito ad un
attacco, forse, decisivo. Aumenta progressivamente nei combattenti la cer-
tezza che lo stesso odio che li contrappone sul campo di battaglia sia il
nomos della terra, la legge che presiede a tutti gli eventi naturali. Alcuni tro-
vano la spiegazione dell’irrazionale carneficina che l’uomo compie a
danno dell’uomo nella stessa contrapposizione - o darwiniana struggle for
survive - che nella giungla piante rampicanti, animali ed acqua, quotidiana-
mente combattono ingoiandosi a vicenda, una specie a discapito dell’altra,
un elemento contro l’altro. La voce fuori campo narra il flusso di coscien-
za dei soldati ed è l’espressione del confronto con l’ambiguità delle pre-
sunte “domande fondamentali”. La parola prende il sopravvento, il dialo-
go interiore si sostituisce a quello fra gli esseri umani; ma ciascun soldato
non sa se osserva i tratti di un solo volto o due principi antagonisti, così
come chi osserva un uccello morire non sa se pensare che la vita sia solo
dolore senza risposta, o gloria e meraviglia. L’esperienza sempre estrema
della guerra diviene estrema esperienza dei conflitti esistenti in natura, e la
natura radice e fondamento delle contrastanti sensazioni dell’uomo, del
combattere d’istinti e pulsioni, alcuni volti alla conservazione, altri alla
distruzione ed al predominio.
Il tema del film non è certamente nuovo e segue, per stile, grandiosità
realizzativa e riuscita estetica, la scia di Apocalipse Now (Coppola, 1979).
Già nel libro di Joseph Conrad Cuore di tenebra, cui Coppola si è ispirato
per la realizzazione di Apocalipse Now, si descrive il passaggio dall’orrore
della cultura a quello della natura, la regressione dell’uomo civile allo stato
ferino, ove la perdita della natura equivale alla perdita del bene. La cultu-
ra può sempre corrompersi e ritornare all’inciviltà iniziale, all’ingens sylva
cui si riferiva Gian Battista Vico, la gran selva della barbarie che si rifà
all’elemento inconscio dell’uomo, legato a tutta un’evoluzione animalesca
che precede la civiltà umana. Lasciando però questa possibilità aperta ed
il dubbio insoluto, La sottile linea rossa esprime qualcosa d’ulteriore.
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La natura “naturante”, che continuamente cambia al passaggio degli
antieroici soldati di Malick, diventa paradossalmente invisibile ed incom-
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