Page 232 - 0848_boiardi_interno.qxp
P. 232
La ripresa della natura: le riflessioni del cinema su un concetto ambiguo
La difficoltà della trattazione sta però nell’ambiguità ed ampia valenza
propria del termine “natura”, il concetto che, più d’ogni altro, ha posto
contraddizioni che non è possibile qui sciogliere. Senza quindi tentare
nuove sintesi artificiose o bizzarre definizioni, è possibile fare alcune
attente valutazioni sul modo in cui il cinema ha vissuto quest’ambiguità e
portato in scena elementi della natura. Il cinema ha individuato i punti di
crisi e rottura della rappresentazione classica della natura. La pellicola ha
offerto sotto un’altra veste le idealizzazioni naturali del romanticismo, le
contraddizioni insite nella nozione di progresso ed i torti inflitti al piane-
ta dall’epoca moderna ad oggi, concludendo questa sua parabola nell’afa-
sia o impossibilità stessa di poter definire il termine “natura”, in una
sospensione quasi mistica che restituisce la grandezza e lo splendore di un
misterioso termine.
Cominciando quindi a riflettere sulla messa in scena della natura in pel-
licole il cui set è direttamente l’aria aperta, in cui agiscono personaggi che
abitano e lavorano in un contesto forestale rilevante, un bosco per esem-
pio, sono svariati i lavori - come Il bosco di betulle (Vajda, 1971) o Il taglio del
bosco (Cottafavi, 1963) - ove il paesaggio si coniuga con le sottolineature
psicologiche dei protagonisti e con la descrizione dei loro comportamen-
ti. Solo limitandoci al panorama italiano è probabilmente grazie allo scrit-
tore bellunese Dino Buzzati che alcuni registi hanno tratto fuori dai
boschi, dalle vette e dai pascoli quanto di animista, fiabesco e stregato vi
sia, per poi immergervi i loro attori. Mi riferisco al Segreto del bosco vecchio
(Olmi, 1993), tratto da un lungo racconto di Buzzati e girato nella zona
dolomitica tra Auronzo e il Passo Tre Croci, oppure all’altra opera italia-
na Barnabo delle montagne (1994). Quest’ultimo, del veneziano Mario Brenta
(già allievo e collaboratore di Olmi), è la vicenda di un guardiaboschi che
perde il posto e la dignità di fronte a dei contrabbandieri e che in seguito,
pur avendone l’occasione, non consumerà mai la sua vendetta.
Ambientato negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, è un’opera
cinematografica che ci fa percepire, nei prati e nelle boscaglie, i segnali
d’intatte presenze metafisiche. Brenta realizza soprattutto una parabola
sull’amore per la montagna e, grazie ai rari dialoghi, un film ieratico e liri-
co dove il silenzio ha il valore di una meditazione e la natura acquista il
A
n
n
significato di una contemplazione: «un’orgia di ascetismo al rallentatore»
che «esige attenzione agli incanti minimi e alle minacce della natura, ai tra-
oI-n
.1
236 SILVÆ