Page 55 - Rassegna 4-2016
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LO STATUS DEI FOREIGN FIGHTERS
              SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE DEI CONFLITTI ARMATI

2. I foreign fighters nei conflitti armati non internazionali

      nell’ambito di conflitti armati non internazionali (o ‘interni’), i combattenti
stranieri possono entrare nelle fila di gruppi armati insurrezionali o dello stato sul
cui territorio questi operano. partendo con l’analisi del primo scenario, va ricordato
che il diu non riconosce nessuno statuto speciale ai membri di un gruppo insurre-
zionale. non potendo godere della condizione di combattente legittimo né di pdG,
i ribelli che venissero catturati dalle truppe governative possono essere incriminati e
processati come criminali comuni, ai sensi della legislazione penale dello stato(49).

      detto principio vale anche per combattenti aventi nazionalità straniera,
anche se quest’ultimo fattore pò giocare un ruolo nel determinare gli esiti dei
procedimenti penali cui saranno sottoposti. descrivendo l’applicabilità dell’arti-
colo 3 comune, il commentario del cicr afferma che la disposizione non pro-
tegge un insorto che sia stato catturato dall’azione penale, anche se non ha com-
messo alcun crimine, se non quello di portare le armi e combattere con lealtà(50).

      resta aperto il quesito di come la nazionalità può influire sul trattamento
degli insorti. L’articolo 3 comune stabilisce nel suo primo paragrafo che: le per-
sone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle
forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combatti-
mento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in
ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole
che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla
nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

(49) - Va tuttavia ricordato che l’art. 6(5) del ii protocollo aggiuntivo invita gli stati, una volta ter-
       minato il conflitto, a “concedere la più larga amnistia possibile alle persone che avessero preso
       parte al conflitto armato o che fossero private della libertà per motivi connessi con il conflitto
       armato”. La disposizione - che riflette un principio di diritto consuetudinario - si intende tra-
       dizionalmente come volta a garantire l’immunità soltanto per condotte che non costituiscano
       crimini di guerra o altri crimini internazionali, cfr. J. hencKaerts e L. dosWaLd-BecK (a cura
       di), Customary International Humanitarian Law, Volume 1, rules, cit., pag. 611.

(50) - cfr. J. pictet (a cura di), Commentary To Geneva Convention (III) Relative to the Treatment of
       Prisoners of War, cicr, 1960, pag. 40. il testo prosegue suggerendo che, una volta che il con-
       flitto ha raggiunto un certo livello di intensità, i membri delle forze ribelli non dovrebbero
       più essere trattati alla stregua di criminali comuni. tuttavia, nessuna disposizione pattizia sug-
       gerisce che gli stati abbiano un obbligo di condonare la condotta degli insorti.

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