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OSSERVATORIO DI DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

la durata della sanzione inflitta ed altresì l’età, la nazionalità e la situazione di
salute del ricorrente; dall’altro, ritengono che lo Stato convenuto avrebbe
dovuto adeguare le misure derivanti dagli obblighi internazionali in modo con-
forme alle disposizioni della Convenzione.

      Quanto alla seconda doglianza, i giudici - richiamandosi al noto precedente
Kadi della Corte di giustizia, che ha segnato una storica svolta nella prassi di
armonizzazione, in ambito europeo, tra gli obblighi di diritto internazionale, deri-
vanti dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, e l’esigenza di tutela dei
diritti fondamentali - hanno riconosciuto, altresì, una violazione dell’art. 13 Cedu,
posto che le autorità elvetiche non avevano fornito al ricorrente un rimedio giu-
diziario per contestare la legittimità dell’inserimento del suo nominativo nella
black list, ed eventualmente per chiederne la cancellazione. I giudici di Strasburgo
hanno rilevato, nel caso di specie, che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non
impediscono in alcun modo all’autorità elvetica - che dispone, a ben guardare, di
sufficienti margini di manovra - di introdurre meccanismi interni per verificare
che le misure, adottate a livello nazionale, siano conformi non soltanto agli ordini
internazionali, ma anche ai diritti fondamentali dei destinatari di tali misure.

      La Corte ha ritenuto, pertanto, che la Svizzera non abbia ‘armonizzato’ gli
obblighi internazionali (attraverso un’attuazione delle sanzioni conforme alla
Convenzione dei diritti dell’uomo) e non abbia, di conseguenza, assicurato a
Nada gli strumenti giurisdizionali effettivi e le garanzie di contraddittorio che
avrebbero potuto condurre ad una richiesta di cancellazione del proprio nomi-
nativo dall’elenco oppure ad una deroga al congelamento dei beni.

      I giudici hanno rigettato, invece, il motivo relativo alla violazione del dirit-
to alla libertà di cui all’art. 5 Cedu, perché hanno ritenuto che le restrizioni
imposte al ricorrente non abbiano impedito a quest’ultimo di vivere e muoversi
liberamente all’interno del territorio, ove egli ha scelto - di propria iniziativa - di
vivere e di esercitare le proprie attività. La Corte, a tal proposito, ha osservato,
infatti, che il ricorrente non si trovava in stato di detenzione o di arresti domi-
ciliari: semplicemente gli era precluso di entrare/transitare attraverso un preciso
territorio e per effetto di tale prescrizione non gli era consentito di muoversi
dall’enclave. Ne discendeva, pertanto, che il ricorrente non era stato privato
della propria libertà personale nei termini stabiliti dall’art. 5 § 1 Cedu.

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