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DoTTRINA




             sfondo gli anni della prima Repubblica, che avvolta in una concezione “centrica
             e paternalistica” dello Stato pre-liberista, non era in grado di “coniare” la figura
             dell’intermediario lavorativo. Tale legge delineava un impianto sanzionatorio
             scarno e poco efficace, limitandosi a porre l’accento sul momento dell’illecito
             incontro tra domanda e offerta di lavoro, trascurando, invece, l’inammissibilità
             delle terribili condizioni in cui versano i braccianti .
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                  Solo oltre un decennio più tardi, la normativa penalistica, pur conservando
             un carattere ancillare rispetto a quella lavoristica , ottenne un avanzamento in
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             tema di caporalato. La legge n. 1369/1960 intervenne, invero, a punire il c.d.
             “appalto fittizio di manodopera”, aprendo la strada alla legge n. 7 del 1970 con la
             quale il legislatore frenava analoga mediazione illecita nel settore agricolo.
                  La vera svolta culturale e normativa si ebbe - su sollecitazione europea - sol-
             tanto nel 2003 con l’emanazione della legge n. 228. In quell’occasione, il legisla-
             tore intraprese una vera e propria lotta allo sfruttamento del lavoro, passando per
             il profondo restyling precettivo di due reati: quello di riduzione in schiavitù, ex
             art. 600 c.p. e quello di tratta di esseri umani di cui agli artt. 601 e 602 c.p.
                  malgrado la forza sanzionatoria del nuovo articolo 600 c.p., emerse sin da
             subito che la norma, delineante stringenti e gravosi requisiti di illiceità, non riu-
             scisse a colmare il vuoto normativo in materia di sfruttamento del lavoro, sanato,
             soltanto nel 2011 attraverso l’introduzione dell’art. 603-bis c.p.
                  La disposizione in esame punisce - salvo che il fatto non costituisca più
             grave reato - con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000
             euro, per ciascun lavoratore impiegato, chiunque recluti manodopera allo scopo
             di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando
             dello stato di bisogno dei lavoratori stessi; ovvero utilizzi, assuma o impieghi
             manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al primo punto,
             sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro
             stato di bisogno. Prosegue prevedendo che se i fatti sono commessi mediante vio-
             lenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la
             multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
                  La disposizione in esame - sotto una rubrica assiologicamente complessa -
             descrive un reato imponente, dai contorni incerti e configurato a tutela di una
             (sin troppo) ampia platea di beni giuridici. Al riguardo, autorevole dottrina,
             sostiene che si tratti di una norma dalla natura composita che accosta elementi


             6  L. Bin, Problemi interni e problemi esterni del reato di intermediazione illecita e sfruttamento di
               lavoro (art. 603 bis c.p.), La legislazione penale, 10 marzo 2020.
             7  In questi termini, L. Bin, Problemi interni cit., pag. 3.

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