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I CARABINIERI DEL 1944 - LE RESISTENZE AL REGIME COLLABORAZIONISTA



             combatterono come nemici professavano tutti la fede nella patria: sia gli italiani
             e le italiane che aderirono alla Repubblica sociale, sia gli italiani e le italiane che
             aderirono alla Resistenza e al Regno del Sud. La guerra civile fu anche una guer-
             ra di simboli e di miti nazionali: fascisti e partigiani si contesero il monopolio
             della  mitologia  nazionale,  dal  Risorgimento  alla  Grande  Guerra,  rievocando
             gesta e uomini della lotta per l’unità come un proprio patrimonio, di cui gli uni
             contro gli altri pretendevano di essere gli eredi. Dall’una e dall’altra parte, la
             propaganda  agitò  i  nomi  di  Mazzini,  Garibaldi,  Pisacane,  Mameli,  i  fratelli
             Bandiera,  esaltando  gli  episodi  eroici  del  Risorgimento,  come  la  difesa  della
             Repubblica  romana  del  1849.  Gli  antifascisti  esaltarono  la  continuità  della
             Resistenza come “secondo Risorgimento” e come rivendicazione della vittorio-
             sa Grande Guerra, combattuta contro la Germania e l’Austria.
                  Il patriottismo delle «due Italie» in guerra civile fu però un patriottismo
             peculiare di quella tragica situazione, nel quale si mescolarono, da una parte, il
             patriottismo storico, retaggio della tradizione risorgimentale, filtrato, per i giovani
             cresciuti sotto il regime, anche attraverso il fascismo; e dall’altra, il sentimento
             nuovo di un patriottismo spontaneo, esistenziale più che ideologico, sgorgato dal-
             l’esperienza  vissuta  della  tragedia  della  guerra  perduta,  come  una  reazione
             immediata, quasi istintiva, al sentimento di vergogna e di umiliazione suscitato
             dalla catastrofe dell’8 settembre. Questo patriottismo spontaneo, che si manife-
             stò nell’uno e nell’altro fronte con sincerità di sentimenti e di convinzioni, fu
             concepito come un dovere umano e civile dell’individuo, che assumeva su di sé
             la difesa e l’onore della patria, di fronte al crollo dello Stato e alla fuga della clas-
             se dirigente, non per mantener fede a una ideologia ma per conservare dignità
             di uomo e di cittadino. Mai come in quel giorno, ha scritto Dante Livio Bianco, pro-
             motore della lotta partigiana in Piemonte, abbiamo capito cos’è e cosa vuol dire l’onore
             militare e la dignità nazionale: quelle parole, che spesso ci eran parse insopportabilmente con-
             venzionali e guaste dalla retorica, ora ci svelavano la loro sostanza dolorosamente umana,
             attraverso la pena che ci stringeva il cuore e la vergogna che ci bruciava. E fu motivo di più,
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             per gli antifascisti, di passare decisamente all’azione .
                  Persino i comunisti, che avevano sempre negato il patriottismo nazionale
             fino alla Seconda guerra mondiale, furono in prima fila nell’agitare la sacra ban-
             diera della guerra per l’indipendenza della nazione, incitando il popolo ad una guerra
             «sacra  di  liberazione  nazionale!  Guerra  per  salvare  l’indipendenza  e  l’onore  d’Italia!»,
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             come aveva proclamato Togliatti da Mosca il 15 settembre 1943 .
             13   Dante  Livio  Bianco,  Guerra  partigiana,  a  cura  di  Aldo  Agosti  e  Franco  Venturi,  Torino,
                  Einaudi, 1954, pp. 7-10.
             14   Palmiro Togliatti, Opere, vol. IV, a cura di Franco Andreucci e Paolo Spriano, Roma, Editori
                  Riuniti, 1979, p. 485.

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