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I CARABINIERI DEL 1944 - LE RESISTENZE AL REGIME COLLABORAZIONISTA



                  All’indomani dell’8 settembre 1943, lo Stato italiano, fondato nel 1861,
             andò in frantumi. Se il capo dello Stato e l’esercito sono i massimi simboli di
             una nazione, nulla più dello spettacolo di un capo dello Stato in fuga, del crollo
             di tutte le istituzioni civili e di un intero un esercito allo sbando, poteva dare alla
             popolazione italiana la percezione immediata dello sfascio dello Stato, senten-
                                                                      1
             dosi abbandonata in balia di eserciti stranieri d’occupazione .
                  Annotava il socialista Pietro Nenni nel suo diario il 9 settembre: Le giornate
             di ieri e di oggi segnano il crollo di ciò che restava di organizzazione dello Stato dopo il 25
             luglio. Il mancato appello al popolo ha fatto sì che tutto si reggesse sul vuoto. Ciò che crolla a
             pezzi è adesso la struttura militare della nazione. I soldati gettano il fucile. Gli ufficiali sono
             senza guida. I generali cercano di raggiungere il re in fuga. Nulla si salva dei pretesi valori
             di disciplina e di ordine che per un ventennio hanno caratterizzato la dittatura fascista e, per
             un secolo la struttura monarchica dello Stato tutta basata sul rapporto dinastia, esercito,
             monarchia .
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                  Nulla fu più naturale e istintivo, per gran parte della popolazione, seguire
             l’esempio dell’esercito e del capo dello Stato: come i militari avevano gettato via
             le loro divise, e darsi alla fuga in cerca di salvezza: «Lo Stato si è sfasciato, la vera
             disfatta comincia ora, coi tedeschi nel nord e gli anglo-americani nel sud. Gli italiani, come
             formiche quando si distrugge loro il nido, corrono da tutte le parti, a piedi, in treno, a cavallo,
             in barca. Ora bisogna salvare la casa e la pelle: bisogna difendere quella povera Italia che
             ognuno di noi porta addosso», scriveva Leo Longanesi in fuga verso il Sud descri-
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             vendo .
                  Su pochi avvenimenti della storia italiana le testimonianze e i ricordi di chi
             li ha vissuti sono così impietosamente concordi nel descrivere l’immagine tra-
             gica e squallida di una classe dirigente che, in un paese sconfitto in guerra e
             invaso da eserciti stranieri fra loro nemici, che si combattono ferocemente sul
             suo territorio, abbandona le responsabilità del comando per darsi alla fuga, di
             uno Stato che crolla a pezzi, di un esercito che si dissolve gettando armi e uni-
             formi,  di  un  popolo  che  perde  ogni  minimo  senso  di  coscienza  civica  e  si
             disperde disperato, disordinatamente, simile a un nido di formiche impazzite.
             Anche chi, come il liberale Benedetto Croce, appassionato patriota, aveva tut-
             tavia desiderato, con animo lacerato, la sconfitta della propria patria in guerra,
             pur di vederla libera dalla dittatura totalitaria, provò sgomento e angoscia di
             1    Il tema di questo articolo è stato ampiamente trattato nel capitolo Dov’è l’Italia? in E. Gentile,
                  La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo, Roma-Bari, Laterza, 2021, pp. 245 ss., che
                  è ripreso in parte in questo articolo, integrato con alcuni documenti sulle vicende dell’Arma
                  di Carabinieri durante la guerra civile.
             2    Pietro  Nenni,  Diari  1943-1946,  a  cura  di  Giuliana  Nenni  e  Domenico  Zucaro,  Torino,
                  Einaudi, 1981, p. 38.
             3    Leo Longanesi, In piedi e seduti, Milano, Longanesi, 1948, p. 216.

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