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ITALIA 1943-1945: SI SFASCIÒ LO STATO, NON MORÌ LA PATRIA




               patria che muore. Di qua e di là dalla linea mobile della battaglia, due Italie, impenetrabili
               l’una all’altra; o più veramente dieci, venti Italie, tante quanti son cittadini, aspettanti dalle
               armi altrui chi la restaurazione dei privilegi perduti, chi, sotto parvenza di libertà, l’instau-
               razione di nuovi: e ciascuno nella dissoluzione dello Stato fa stato per se stesso, dettando legge
               nei migliori l’odio, nei peggiori la cupidigia, in tutti la mancanza di carità. La morte della
               patria è certamente l’avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell’individuo.
               Come naufrago che la tempesta ha gettato in un’isola deserta, nella notte profonda che cala
               lentamente sulla sua solitudine egli sente infrangersi ad uno ad uno i legami che lo avvincono
               alla vita, e un problema pauroso, che la presenza viva e operante (anche se male operante) della
                                                                                       10
               patria gli impediva di sentire, sorge e giganteggia tra le rovine: il problema dell’esistenza ».
                    Tuttavia, il disfacimento dello Stato nazionale non comportò affatto la
               morte della patria. Al contrario, dallo sfascio dello Stato nazionale, sorsero “due
               patrie” italiane, l’una contro l’altra armata, ognuna convinta di essere la «vera
               Italia» contro la «falsa Italia», la nazione contro l’«anti-nazione». La patria non
               era morta con la caduta del regime fascista, che aveva preteso e imposto di iden-
               tificare la patria con il fascismo, considerando patrioti soltanto gli italiani e le
               italiane in camicia nera. Al contrario, dopo la caduta del fascismo, la patria,
               come entità ideale di tutto il popolo italiano, senza identificazioni di ideologia
               o di partito, era stata ritrovata, come scrisse l’antifascista Calamandrei all’indo-
               mani del 25 luglio: Veramente la sensazione che si è provata in questi giorni si può rias-
               sumere, senza retorica, in questa frase: si è ritrovata la patria: la patria, come senso di cor-
               dialità e di comprensione umana esistente tra nati nello stesso paese, che si intendono con uno
               sguardo, con un sorriso, con un’allusione: la patria, questo senso di vicinanza e di intimità
               che permette in certi momenti la confidenza e il tono di amicizia tra persone che non si cono-
               scono, di educazione e di professione diverse, e che pure si riconoscono per qualcosa di comune
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               e di solidale [...]. Ci siamo ritrovati .
                    Sul fronte opposto, gli faceva eco il fascista Giovanni Gentile, nel dicem-
               bre del 1943: Il sentimento della Patria è oggi vivo, direi esasperato, nell’animo di tutti gli
               italiani, sia pure nelle forme più varie e anche opposte. La guerra, infatti, ha imposto a tutti,
               ricchi e poveri, uomini e donne, vecchi, giovani e bambini, la sua dura realtà e le sue funeste
               conseguenze, con una minaccia imminente, urgente: che è l’annientamento del Paese, vinto .
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                    Per gli italiani e le italiane che combatterono nella guerra civile, si può
               effettivamente parlare di una rinascita inedita del patriottismo, non più associa-
               to con l’idea e la realtà dello Stato. Infatti, per la prima volta dalla fine del
               Risorgimento, per tragica ironia della storia, gli abitanti della penisola che si


               10   Salvatore Satta, De profundis, Milano, Adelphi, 1980, p. 182.
               11   Calamandrei, Diario cit., pp. 154-155.
               12   Giovanni Gentile, Ricostruire, in Corriere della Sera, 28 dicembre 1943.

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