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STUDI MILITARI




                  Pertanto, non è soltanto la celebrazione di un recente anniversario - pro-
             mossa presso l’Università degli studi di Palermo dalla Legione Carabinieri ‘Sicilia’
             per  la  lodevole  sensibilità  culturale  dell’allora  suo  Comandante,  Generale  di
             Divisione Rosario Castello - ciò che sollecita a ritornare ai fatti di Ciaculli del 30
             giugno del 1963 ma è anche, e altrettanto, l’intento di rivisitarne la cronaca ele-
             vandola in un contesto storiografico che consenta di poter cogliere l’assai cru-
             ciale sforzo compiuto dalle Istituzioni, e il prezzo che non solo l’Arma ha pagato
             in termini di vite umane, per la tenuta della legalità e il contrasto alla mafia.
                  I fatti di Ciaculli vanno perciò contestualizzati nella cornice di una fase
             storica siciliana caratterizzata da accelerate dinamiche di mutazioni di interessi
             economici, che implicano altrettanto accelerate mutazioni di interessi illeciti e
             malavitosi  parallele  alla  metamorfosi  dello  stigma  mafioso.  I  fatti  di  Ciaculli
             sono opera, appunto, di una mafia in parte sociologicamente arcaica, in quanto
             allocata ancora in territori rurali ed ancora strutturata in dimensioni di mentalità
             di gestione patriarcale, in parte invece pronta nel proiettarsi a mettere, per così
             dire, le mani sulla città monopolizzando i profitti dell’espansione edilizia urba-
             na. Tutto ciò non era sfuggito all’analisi del giovane piemontese Mario Malausa,
             Tenente  dell’Arma  dei  Carabinieri  nominato  da  poco  tempo  in  servizio  a
             Palermo, ma figura certamente non di secondo piano per i compiti che gli erano
             stati assegnati all’interno dell’apparato investigativo del Comando Provinciale.
                  La rivisitazione dei tragici eventi di Ciaculli si inquadra pure nel riconosci-
             mento dei valori di merito dei Caduti e nella gratitudine etico-civile della collet-
             tività della nazione verso di loro. Questa ricostruzione storica è perciò sorretta
             dal senso del dovere morale e civile di fissare la nostra pensosa, grata e riverente
             attenzione di oggi sul sacrificio di quel gruppo di Servitori dello Stato i quali,
             nonostante l’impegno profuso nelle immediate e non facili indagini, non ebbero
             il riconoscimento di una piena giustizia, dal momento che nel processo penale
             non fu configurato un movente specificamente finalizzato all’obiettivo del loro
             assassinio e neppure si pervenne a delle inconfutabili prove sugli esecutori del-
             l’eccidio, quantunque invero lo si attribuisse a due criminali che rispondevano
             al nome di Buscetta e di Cavataio. Il Tenente Malausa, i Carabinieri, i Militari
             dell’Esercito e gli appartenenti alle altre Forze dell’ordine, secondo le risultanze
             giudiziarie a nostro parere piuttosto riduttive, furono dunque le impreviste vit-
             time di una faida fra cosche mafiose di borgata!
                  Ciò non deve meravigliare perché infatti la verità processuale è una delle
             diverse sfaccettature della verità, ma per il lavoro della storiografia essa costitui-
             sce una tra le fonti della conoscenza storica non solo da mettere a confronto con
             le altre fonti alle quali attinge lo storico di professione, ma anche da valutare in

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