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SECURITY FORCE ASSISTANCE: LA CIFRA DI UN NUOVO PARADIGMA DI INTERVENTI INTERNAZIONALI?
In questo modo istanze locali ed internazionali si intrecciano, andando di
fatto a sfumare distinzioni eccessivamente rigide fra guerre civili ed interstatali
e le loro rispettive cause (Kalyvas, 2001).
Con il crollo dell’URSS e la fine della guerra fredda si apre una fase storica
segnata da un interventismo senza precedenti. Delle settanta missioni interna-
zionali di Peacekeeping avviate delle Nazioni Unite dal 1948 ad oggi, ben 62
avvengono dopo il 1991 (Bove, Ruffa et al., 2020).
È il tempo dell’entusiasmo neoliberale, che porta numerosi decisori poli-
tici a credere che l’economia di mercato, il rispetto dei diritti dell’uomo, le pra-
tiche di buon governo (good governance) e il principio - occidentale - di legalità
siano i soli rimedi contro i circoli viziosi di violenza e conflitto (Mac Ginty &
Richmond, 2007).
Anche il paradigma neoliberale prevede un ruolo, seppur minore, per l’as-
sistenza securitaria. Laddove gli interventi internazionali si pongono per obiet-
tivi quelli di costruire o ri-costruire strutture statuali (Statebuilding), di creare i
presupposti per una pace duratura (Peacebuilding) o più modestamente di stabi-
lizzare e ricostruire contesti devastati dalla guerra (Stability & Reconstruction), si
riconosce comunque un’importanza alle attività di addestramento e professio-
nalizzazione delle forze armate, soprattutto nel contesto di un più ampio sforzo
di ristrutturazione del settore della giustizia e della sicurezza (Security Sector
Reform, SSR) di un paese target. In questo quadro, l’assistenza securitaria ricopre
quindi un ruolo eminentemente tecnico ed è esclusivamente appannaggio del
personale militare.
L’entusiasmo generato dalla fine della Guerra Fredda prende però rapida-
mente a smorzarsi. L’intervento a guida USA in Somalia (1992-1993) si conclu-
derà infatti dopo poco più di un anno, con la morte di diciotto soldati america-
ni, senza aver raggiunto degli obiettivi minimi in termini di sicurezza. Anche le
varie missioni ONU che si susseguiranno non riusciranno né a garantire un
minimo di sicurezza né a ricostruire l’apparato statale somalo.
Sulla scorta di quanto osservato nel Corno d’Africa anche la “Guerra
Globale al Terrore” in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003) si rivelerà sostanzial-
mente un costoso fallimento.
A tal proposito il rapporto di agosto 2021 firmato da John Sopko,
Ispettore Generale Speciale per la Ricostruzione dell’Afghanistan (SIGAR), è
emblematico del fallimento di questo modello di interventi. Secondo l’alto fun-
zionario USA il governo americano, pur avendo speso più di 145 miliardi USD
in venti anni di permanenza nel paese, non è riuscito a comprendere appieno
quel contesto operativo.
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