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SOCIETAS DELINQUERE ET PUNIRI POTEST




               disciplina generale del d.lgs. 231/2001, occorrerà chiedersi in che termini l’al-
               largamento ai delitti di criminalità organizzata possa incardinarsi nel sistema del
               decreto, soprattutto in relazione ai principi generali, ai criteri di imputazione
               oggettivi nonché a taluni profili di carattere processuale, tanto al fine di valuta-
               re l’effettiva idoneità della criminalità organizzata, soprattutto di stampo mafio-
               so, a rientrare tra i reati presupposto e se gli istituti normativi siano ulterior-
               mente utili per recidere i legami tra mafia e imprese, non solo dal punto di vista
               della repressione penale ma anche a livello di strategie e misure preventive.
                    Giova, in primo luogo, segnalare che l’art. 24-ter, facendo espresso richia-
               mo a fattispecie associative, pone considerevoli problemi sul piano ermeneutico:
               si tratta, infatti, di un modello di illecito probabilmente poco coerente con l’im-
               pianto  generale  della  disciplina  sulla  responsabilità  degli  enti,  posto  che  non
               nasce come strumento per sanzionare le condotte di enti essenzialmente dediti
               al crimine. Orbene, sia l’associazione per delinquere che quella di stampo mafio-
               so sono reati permanenti, caratterizzati dalla realizzazione perdurante e sistema-
               tica di attività criminose. Così stando le cose, se all’interno di un’impresa opera-
               no  uno  o  più  affiliati  di  un  sodalizio  criminale,  difficilmente  l’azienda  stessa
               potrebbe non essere considerata un soggetto giuridico che di fatto delinque sta-
               bilmente , cui, ai sensi dell’art. 16 del decreto, andrebbe applicata la sanzione
                        (40)
               dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
                    Il solo caso ipotizzabile in cui l’impresa non è direttamente e intrinseca-
               mente riferibile al sodalizio è quello in cui vengano assunti come dipendenti
               dell’azienda membri di un’associazione mafiosa, ma anche in questa situazione,
               tuttavia, sarebbe comunque difficile provare che il soggetto persona fisica abbia
               commesso il reato anche a vantaggio dell’ente oltre che nell’interesse dell’orga-
               nizzazione illecita di appartenenza.
                    Ulteriori  criticità,  in  simili  ipotesi,  attengono  proprio  all’individuazione
               della corretta portata da attribuire, al criterio di imputazione oggettiva dell’inte-
               resse o vantaggio dell’ente: in particolare, non è semplice stabilire se il beneficio
               per il soggetto collettivo debba essere valutato in relazione alla partecipazione
               all’associazione ovvero al reato-fine realizzato.
                    Lo  stesso  problema  si  porrebbe  anche  in  relazione  ai  delitti  commessi
               avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis ovvero al fine di agevolare
               sodalizi mafiosi secondo propri fini e difficilmente si può verificare che il soda-
               lizio agisca, tramite i propri affiliati, allo scopo esclusivo di agevolare un’azienda.


               (40)  M. Scoletta, Nuove ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti, in S. Corbetta, A. Della Bella
                    e G. L. Gatta (a cura di), Sistema penale e “sicurezza pubblica”: le riforme del 2009, Milano, Ipsoa,
                    2009, p. 373.

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