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L’ESPANSIONE VIOLENTA DI UN’ORGANIZZAZIONE MAFIOSA
                                           LA SOCIETÀ FOGGIANA




                    L’attività estorsiva si estrinseca sostanzialmente in:
                      estorsione “atto”;
                      estorsione “abbonamento”;
                      “cavallo di ritorno”.
                    Nel primo caso, la Società acquisisce il pizzo una tantum senza attivare una
               relazione duratura con l’imprenditore. Questo tipo di estorsione viene messa in
               atto per gli imprenditori che permangono sul territorio per brevi periodi come,
               ad esempio, coloro che si sono aggiudicati un’opera tramite appalto pubblico e
               che permangono sul territorio per il tempo strettamente necessario alla sua rea-
               lizzazione. Questa tipologia di estorsione, realizzata con l’utilizzo di esplosivi,
               viene  solitamente  messa  in  atto  anche  per  gli  imprenditori  restii  a  pagare  il
               pizzo. In questo modo si sortisce un duplice effetto: da un lato l’imprenditore
               intimorito pagherà il pizzo per evitare ulteriori ripercussioni, dall’altro mira ad
               accrescere la “fama criminale”  dell’organizzazione.
                                           (29)
                    Con l’estorsione abbonamento si crea una relazione duratura e stabile con la
               vittima. In tal caso, l’approccio con l’imprenditore è più morbido e le richieste
               sono più contenute e dilazionate nel tempo. Ma chi riscuote la somma da cedere
               al clan? Solitamente la riscossione avviene tramite il mediatore , figura cardine
                                                                           (30)
               della trattativa tra vittima e clan, la cui partecipazione alla trattativa da quasi
               l’idea di “una gestione condivisa del percorso che porta alla fissazione della tangente”. Di
               solito la vittima si avvicina ad un mediatore per cercare “protezione” oppure
               per risalire alla consorteria con lo scopo di “contrattare” il prezzo da pagare.
                    La terza modalità di estorsione è costituita dal cosiddetto “cavallo di ritor-
               no”. Anche in questo caso l’anello di collegamento tra vittima e clan è il media-
               tore che chiede il pagamento di una somma di denaro per la restituzione dei
               beni sottratti. “Generalmente questa tipologia di reato resta appannaggio della microcrimi-
               nalità, ma non sono mancati casi in cui è stata sfruttata anche dai clan foggiani nei momenti
               di maggior debolezza conseguenti all’attività repressiva dello Stato o in occasione di furti di
               beni di ingente valore economico sul quale viene, poi, parametrata l’entità della tangente”.
                    Un ulteriore fenomeno estorsivo che si sta espandendo a macchia d’olio è
               “l’assunzione forzata”, da parte di aziende locali, dei congiunti o di appartenen-
               ti alle batterie locali che, seppur non funzionali all’attività d’impresa  vengono
                                                                                (31)
               comunque debitamente stipendiati .
                                                 (32)
               (29)  Dichiarazioni del Dott. Giuseppe Gatti riportate a p. 203 nel libro, Il sistema delle estorsioni in
                    Puglia. Potere e legittimazione, Rubettino Editore, 2015.
               (30)  Costui o appartiene al clan o ne costituisce una figura apicale.
               (31)  Assenteismo o mancanza di capacità negli specifici settori d’impiego.
               (32)  Quarta Mafia. La criminalità organizzata foggiana nel racconto di un Magistrato sul fronte, editore
                    Paper First 2021, Dott. Antonio Laronga.

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