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L’ESPANSIONE VIOLENTA DI UN’ORGANIZZAZIONE MAFIOSA
                                           LA SOCIETÀ FOGGIANA




                    Va evidenziato che la Corte di Foggia, nel rubricare il reato di cui all’art.
               416-bis c.p., ha dato per scontata la sussistenza dell’associazione finalizzata allo
               spaccio di stupefacenti senza scendere nella profondità del fenomeno. Una sotti-
               gliezza che, però, ha un proprio peso specifico. Invero, nella gestione del traffico
               di sostanze stupefacenti vengono, sovente, reinvestiti i proventi delle rapine, delle
               estorsioni e dei sequestri di persona, considerando che le operazioni connesse al
               traffico di tali sostanze necessitano di ingenti capitali per la loro realizzazione.
               Inoltre, i proventi del traffico di droga, unitamente ai proventi delle attività estor-
               sive, come dimostrato dalle sentenze che sono state emanate nei confronti degli
               affiliati della “società foggiana”, sono utilizzati anche per provvedere all’assisten-
               za dei sodali detenuti. Ciò chiarifica, indirettamente, l’esistenza di un’associazione
               mafiosa ben strutturata che si autosostenta con i proventi delle attività illecite.
                    Nonostante la sussistenza del concorrente delitto di cui all’art. 74 DPR
               309/90 con quanto rubricato nell’art. 416-bis c.p., in sede di p.p. 5452/92 Mod.
               21 DDA, questo non è stato contestato a tutti gli imputati. Nell’ambito della
               struttura criminale della “società foggiana”, saldamente radicata sul territorio di
               Foggia e nei comuni limitrofi operano, nell’ambito del traffico, del commercio
               e dello spaccio di sostanze stupefacenti, soggetti che si servono dell’impianto
               organizzativo  della  medesima  struttura  o  gruppi  specializzati  subordinati  e
               dediti esclusivamente all’attività di spaccio.
                    La gravità del fenomeno, che stava dilagando a macchia d’olio già agli
               inizi degli anni Novanta, si evince da una conversazione intercettata e riportata
               nella sentenza “Panunzio” avvenuta il 13 giugno 1994 tra Gaetano Piserchia,
               affiliato a una delle batterie, e Danilo Conticelli “pregiudicato dedito allo spaccio di
               stupefacenti”. In particolare, nella conversazione tra i due viene fatto “… chiaro
               riferimento all’attività di spaccio del Conticelli svolta con la sostanza fornitagli…” dal
               Piserchia “… e si rinvengono elementi che consentono, altresì, di cogliere la continuità e la
               consistenza del rapporto. La stessa conversazione offre indizi che consentono di attribuire il
               rapporto di “somministrazione” tra Piserchia e lo spacciatore al parlante non uti singuli,
               ma quale esponente dell’organizzazione che gestisce l’attività, laddove, facendo riferimento
               alla precedente operazione di “taglio” della sostanza pura, usa il plurale: «Noi l’abbiamo
               grattugiata, li abbiamo fatti uscire cinque pezzi là» ”.
                                                           (26)
                    Ciò  evidenzia  il  carattere  “commerciale  del  fenomeno”,  in  quanto  la
               Società non era in grado di produrre autonomamente la droga da destinare al
               mercato illecito. Solo successivamente l’organizzazione criminale è riuscita a
               produrre autonomamente droghe naturali. Infatti, nelle aree agricole comprese

               (26)  Estratto  sentenza  n.  7/97  del  17  luglio  1997  della  Corte  di  Assise  di  Appello  di  Bari.
                    Cosiddetta “Sentenza Panunzio”, p. 105.

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