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L’ESPANSIONE VIOLENTA DI UN’ORGANIZZAZIONE MAFIOSA
LA SOCIETÀ FOGGIANA
La formazione progressiva del giudicato nel caso in esame ha rinsaldato di
fatto gli elementi di affermazione dell’esistenza di sodalizi criminali operanti sul
territorio foggiano precisandone la qualificazione giuridica, seppure parcellizza-
ti in “batterie”. Nella sentenza di primo grado fu ampiamente dimostrata l’esi-
stenza di gruppi dotati di un programma criminoso che includesse delitti di
vario genere, la previsione di una cassa comune, la ripartizione tra gli aderenti
dei proventi delle attività delittuose compiute e dal reciproco sostegno garantito
agli affiliati in caso di bisogno, anche estendibile alle famiglie in caso di carce-
razione. Emersero, altresì, elementi probanti circa l’affiliazione di buona parte
degli imputati, poi condannati. Sul punto fu determinante la valutazione della
Corte fatta in merito a coloro che, ricorrenti, giustificarono la loro posizione
ritenendo di non aver mai partecipato a riti di affiliazione, posto che l’affiliazio-
ne e la partecipazione emergeva aliunde e per facta concludentia .
(13)
In motivazione, si evidenzia, che le “batterie”, altrove definite “ndrine”,
“famiglie”, “clan” o comunque indicanti gruppi criminali presenti su un determi-
nato territorio devono essere considerati quali elementi caratterizzati da univoci-
tà di intenti, anche qualora operanti in modo “sciolto” rispetto alle organizzazio-
ni tipicamente verticistiche ed organizzate in maniera monolitica, da una strategia
ed un sentire comune che fosse in grado di conferire ai singoli gruppi quell’alone
di invincibilità e quella forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo.
La Corte consacrava l’esistenza dell’associazione mafiosa evidenziandone
la condizione di assoggettamento interno ed esterno che consentiva agli asso-
ciati di avvalersene per commettere i reati fine alla stessa. Il lavoro dei giudici sul
riconoscimento delle caratteristiche preminenti dell’art. 416-bis c.p. converse
sull’uso oggettivo del metodo mafioso di intimidazione, di omertà e di sudditan-
za psicologica da parte degli affiliati per stabilire che gli stessi avessero utilizzato
coscientemente il “patrimonio intimidatorio” che tali gruppi promanavano.
Le difficoltà processuali incontrate per il riconoscimento giuridico del vin-
colo associativo mafioso sono sempre state connesse anche in passato “…alla
necessità di individuare un corretto ed intelligente approccio al fenomeno mafioso, che consenta
di aggirare gli ostacoli tradizionali sul cammino degli inquirenti e che consenta di ricostruire
mosaici probatori che possano reggere al vaglio del giudizio”, come sapientemente indi-
cato dai magistrati Giovanni Falcone e Giovanni Turone in una rassegna del
1982 .
(14)
(13) Estratto sentenza n.7/97 del 15 luglio 1997 della Corte di Assise di Appello di Bari, cosid-
detta “Sentenza Panunzio”.
(14) Tecniche di indagine in materi mafiosa nel supplemento n. 2 al n. 3 del maggio /giugno 1982
della rassegna “Il consiglio Superiore della Magistratura”, di G. Falcone e G. Turone.
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