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ESPOSIZIONE DELLA RELIQUIA DEL BEATO ROSARIO LIVATINO




                  La mafia è stata descritta come la piovra: noi oggi dobbiamo immaginarla
             come il camaleonte, perché se lo sfondo è marrone, diventa marrone se lo sfon-
             do è verde, diventa verde. Se è il tempo di fare gli affari nel mondo rurale li farà
             lì; li farà poi sfruttando le speculazioni edilizie; lo farà nel traffico di stupefa-
             centi;  lo  fa  oggi  inserendosi  nel  mondo  finanziario,  cercando  addirittura  di
             manipolare il regime di libera concorrenza.
                  Rosario  Livatino  cade  a  trentasette  anni,  pressoché  un  ragazzo.  Viene
             ammazzato per ordine di un mafioso che abita nello stesso palazzo dove abita-
             no i genitori. Non pronunciamo neanche il nome di costui perché sono due
             insiemi, il mafioso e Rosario, imparagonabili.
                  Quando abbiamo fatto uscire dalla caserma di San Lorenzo MMD non
             solo lo abbiamo portato senza manette ma, con tutto il rispetto per le donne, i
             due carabinieri erano uno di sesso maschile e uno di sesso femminile. Non
             meritava forza. La forza è quella intrinseca dello Stato: una forza sempre misu-
             rata, una forza sempre rapportata alla situazione.
                  L’autorità va misurata “come il chirurgo utilizza il bisturi con misura, con
             precisione, con precauzione” e soprattutto nel rispetto delle persone che sono
             affidate all’Arma per motivi di giustizia. Rispetto oltre ogni misura per la per-
             sona umana.
                  In quella terra di mafia, in quella provincia di Agrigento dove morirà men-
             tre sta andando a lavoro, senza scorta, a bordo della sua auto sgangheratella, lo
             affiancano, scende dalla macchina, cerca di scappare e secondo le risultanze
             successive di pentiti si rivolge a loro un po’ come fece Padre Pino Puglisi. E a
             colui che ha ucciso Padre Pino Puglisi tutto è sottratto alla memoria, forse, tran-
             ne che il sorriso di Padre Pino di cui ricordiamo quest’anno la figura a trent’anni
             dalla morte: 15 settembre 1993. In atto abbiamo delle iniziative per celebrare
             questo grande lottatore della mafia con il sorriso, che fu Padre Pino Puglisi, le
             tre “P” di Palermo: Padre Pino Puglisi.
                  In quella terra, in quella stessa provincia cadde nello stesso periodo un
             nostro maresciallo, il maresciallo Giuliano Guazzelli.
                  Queste cose le dovete sapere. E dovete sapere che il Comandante Generale
             dell’Arma, il giorno del suo congedo, l’ultimo suo giorno di servizio, in una ceri-
             monia alla Legione allievi, si tolse la sciabola dalla cintola e la consegnò alla
             vedova. Un grande Comandante il Generale Luigi Federici. Un gesto simbolico
             che voleva significare la piena dedizione della nostra Istituzione nei confronti di
             un servitore dello Stato con la “S” maiuscola. Uguale a Rosario Livatino.
                  Lo uccise una consorteria mafiosa scissionista rispetto a cosa nostra: “la
             stidda”. Sono cose che in questo momento consideriamo collaterali.

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