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Prolusione del Comandante delle Scuole dell’Arma dei Carabinieri
Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Governale
Reverendo buongiorno.
Diamo il benvenuto a questa Arciconfraternita che cura, tra le altre cose,
la memoria di Rosario Livatino. Questa mattina abbiamo qui alla Scuola il pri-
vilegio di ospitare le reliquie di un giovane Uomo e di un grande Magistrato.
Grande perché ha saputo sapientemente coniugare una terra molto diffi-
cile quale è la Sicilia - straordinaria ma difficile - particolarmente complessa
dove “due più due” difficilmente fa quattro. Ha saputo coniugare, dicevo, alcu-
ne qualità che sono indispensabili per l’uomo, sono indispensabili per un magi-
strato, sono indispensabili per un giudice.
L’ha fatto con grande sobrietà, con grande compostezza umana, persona-
le, professionale riferibile all’alto magistero, quello di giudicare.
La cifra distintiva di Rosario Livatino è l’umiltà. Nasce in una località con
riferimento alla quale negli anni settanta gli ufficiali dicevano ai carabinieri “se
non fai il bravo ti mando a Canicattì”. Nasce per l’appunto a Canicattì. Una
località che conosco, non tanto perché sono di Palermo, ma perché ho avuto la
fortuna e il privilegio di comandare la Legione Carabinieri Sicilia.
Canicattì è in terra di mafia. Rosario Livatino nasce in terra di mafia, da
una famiglia umile dove umile non coincide con modestia. L’Umiltà è forse la
più grande delle doti che lui coltiva; non si lascia trasportare dal vento dell’au-
torità o da quello del potere fine a sé stesso. Un vento vacuo. Perché al vento
poi si alterna la bonaccia. Se oltre all’Umiltà non c’è la spinta motivazionale,
non ci sono i sacri principi, quelli dell’etica, la bonaccia prende il sopravvento.
Lui ha grande motivazione. Inizia subito il percorso in magistratura, quasi subi-
to dopo la laurea, e in terra di mafia svolge prima le funzioni di Pubblico
Ministero alla Procura della Repubblica di Caltanissetta, per poi essere trasferito
ad Agrigento dove fa il Giudice. La sua azione è veramente improntata all’etica,
all’autonomia, all’indipendenza della magistratura e alla apoliticità. Di queste
quattro caratteristiche, certamente due non ci appartengono e né ci possono
appartenere: l’autonomia e l’indipendenza ovviamente. Ma l’etica e l’apoliticità,
sono e devono essere costume dell’Arma. L’Arma fa della apoliticità e dell’eti-
ca ragione di esistenza e quindi non ci coinvolgeranno nelle fasi colloquiali e
contraddittorie, per esempio, successive alla cattura del latitante più famoso
al mondo. L’Arma rimane sé stessa. Fuori dai riflettori, continua a fare il suo
lavoro, in maniera sobria, in maniera umile. Umile significa al servizio dello
Stato e della Nazione così come ha fatto Rosario Livatino.
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